la tecnologia arriva al capezzale della salute mentale – Immagine

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Per rilevare l’ansia, prevenire l’accumulo di stress o addirittura gestire un attacco di panico, l’industria tecnologica offre ora sempre più dispositivi dedicati alla salute mentale. Tra le startup presenti in questa nicchia al consumer tech show, che apre martedì a Las Vegas (Nevada), c’è la svizzera Nutrix, che ha lanciato cortiSense, in grado di misurare il livello di cortisolo, spesso chiamato l’ormone dello stress. Un piccolo oggetto cilindrico terminante con una linguetta permette di raccogliere, senza sputo e senza tubicino, la saliva, che viene analizzata direttamente dallo strumento. Dopo pochi minuti, i risultati possono essere visualizzati tramite un’applicazione mobile. “Fino ad ora non esisteva uno strumento per controllare i livelli da casa”, spiega Maria Hahn, fondatrice di Nutrix. “Se volevi misurare (la produzione di cortisolo), dovevi andare in ospedale o inviare campioni.” In caso di risultati troppo elevati, Nutrix offre il contatto con gli operatori sanitari per fornire una risposta adeguata attraverso la consultazione.

Maria Hahn vede cortiSense come “un ulteriore livello” di parametri, che integra l’ecosistema esistente di Nutrix e la loro piattaforma gSense che raccoglie dati su sonno, peso, attività fisica e cambiamenti nei livelli di glucosio. Se l’oggetto sarà accessibile per l’acquisto diretto da parte dei privati, il direttore generale vede che il modello si svilupperà soprattutto attorno agli assicuratori sanitari, anche alle organizzazioni pubbliche, ma anche alle imprese. In quest’ultima configurazione, l’utente manterrà la proprietà dei propri dati personali, ma essi potranno essere aggregati a quelli di altri dipendenti per osservare il livello di stress di un team o di un reparto. Sulla base di queste informazioni “l’azienda potrebbe”, ad esempio, “decidere di concedere più ferie”, immagina Maria Hahn.

“Questi dispositivi non somministrano cure ma sono prodotti complementari che possono aiutare nell’individuazione o fare una diagnosi iniziale”, osserva Julie Kolzet, psicologa di New York.

Respira contro l’ansia

Il BMind dell’azienda francese Baracoda ha una fotocamera integrata in grado di individuare segni di stress o stanchezza, offrendo poi, se necessario, momenti di relax con immagini e musica rilassanti. CalmiGo va oltre con il suo piccolo dispositivo, simile nell’aspetto a un inalatore per l’asma, che sta in mano e viene utilizzato in caso di attacco di panico. Il suo capo, Adi Wallach, voleva “creare un prodotto che si possa portare ovunque e che possa calmare (un attacco) senza la necessità di un’altra persona o di farmaci”. L’utente posiziona la bocca come su un inalatore e respira ad una velocità definita da segnali luminosi. Grazie all’intelligenza artificiale, il ritmo definito è specifico per ogni individuo.

Oltre alla respirazione, la macchina, già venduta in più di 100.000 esemplari negli Stati Uniti, stimola quattro dei cinque sensi, con segnali luminosi, una vibrazione fisica che produce anche un suono e profumi rilassanti per “distaccarsi da uno stato di ansia. Il processo attiva il cosiddetto sistema nervoso parasimpatico, che rallenta il corpo e aiuta a regolare le emozioni. CalmiGo ha condotto uno studio clinico su veterani soggetti a stress post-traumatico (PTSD) in collaborazione con l’ospedale universitario israeliano Reichman University. Ha mostrato una riduzione dell’ansia e dei sintomi del disturbo da stress post-traumatico dopo alcune settimane di utilizzo e, secondo Adi Wallach, alcuni pazienti “sono stati in grado di interrompere il trattamento farmacologico”.

Al CES i visitatori incontreranno anche Romi, il piccolo robot da tavolo o da comodino “che molti in Giappone usano per calmare l’ansia e il senso di solitudine”, secondo il suo progettista Mixi. Nel video dimostrativo, Romi risponde con una battuta al suo padrone frustrato dopo una notte di lavoro inutile, le propone di guardare un film per rilassarsi e basta. “Forse con l’avvento di sempre più dispositivi sul mercato, sempre più persone saranno interessate alla terapia”, immagina Julie Kolzet. Non crede, invece, nella capacità di un robot e più in generale dell’intelligenza artificiale di rispondere alle cause profonde dell’ansia o dell’infelicità. “I pazienti vogliono qualcuno che li guidi”, dice, “per sentirsi compresi e su un terreno sicuro. Non penso che un robot possa farlo”.

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