Il Ciad, ultimo bastione della presenza militare francese nella striscia del Sahel, ha deciso di rompere gli accordi di difesa che lo legavano a Parigi, segnando un momento cruciale nelle relazioni franco-africane. Questa decisione, annunciata dal ministro degli Esteri ciadiano Abderaman Koulamallah, non costituisce una rottura totale, ma piuttosto un’affermazione di una sovranità a lungo compromessa da decenni di cooperazione asimmetrica. In un Sahel in cambiamento, dove le ex potenze coloniali vedono la loro influenza sgretolarsi, questa scelta simboleggia una posizione politica di rilievo.
Un Ciad alla ricerca della sovranità totale
Il Ciad è un pilastro storico della strategia francese in Africa. Dall’indipendenza nel 1960, il rapporto tra i due paesi è stato caratterizzato da un’interdipendenza strategica. Per Parigi, il Ciad rappresentava una base essenziale per le sue operazioni militari. L’impronta dell’Operazione Épervier su questo rapporto è indelebile. Lanciato nel 1986 per contrastare l’espansione libica nel nord del Ciad, questo intervento militare francese si è trasformato nel corso degli anni in una missione per stabilizzare il potere ciadiano. Sciolto nel 2014, è stato sostituito dal sistema Barkhane, volto a combattere il jihadismo nel Sahel. Per N'Djamena, la presenza francese ha garantito una certa stabilità di fronte alle minacce dei ribelli, come quelle del 2008 e del 2019, quando l'esercito francese è intervenuto direttamente per proteggere il regime del defunto Idriss Déby.
Ma nel 2024 il discorso cambia. “È tempo che il Ciad affermi la sua piena sovranità”, ha insistito Abderaman Koulamallah. Questo desiderio di autonomia è parte di una dinamica regionale in cui diversi paesi, in particolare Mali, Burkina Faso e Niger, hanno già rotto con Parigi, esprimendo un crescente rifiuto della politica francese in Africa. Queste rotture successive dimostrano uno spostamento tettonico: il modello di cooperazione in materia di sicurezza ereditato dalla Françafrique sta per essere smantellato.
Operazione Barkhane in Mali: il nostro dossier
Parigi ha formalizzato questo giovedì, 17 febbraio 2022, il ritiro del Mali dalle operazioni militari anti-jihadiste Barkhane e Takuba. L’intervento armato iniziato nel 2013 è costato la vita a 58 soldati francesi.
Un contesto regionale travagliato
L'annuncio del Ciad avviene in un clima di diffusa sfiducia nei confronti della presenza militare straniera nella regione. Se il Mali e il Burkina Faso hanno espulso le forze francesi tra accuse di interferenza e inefficacia nella lotta al terrorismo, il Ciad adotta una posizione più sfumata. “Non è una pausa”, ha chiarito Koulamallah. Il governo ciadiano ha scelto un approccio graduale, rispettando i termini degli accordi di risoluzione. Ma l’essenza del messaggio è chiara: la sovranità nazionale ora ha la precedenza su tutte le altre considerazioni.
Questa inversione di tendenza è parte di una linea temporale segnata da complesse transizioni politiche. Lo scorso maggio, dopo un periodo di transizione militare, è stato eletto Mahamat Idriss Déby Itno, figlio del defunto presidente. La sua ascesa al potere simboleggia il desiderio di voltare pagina sull'eredità di suo padre, ridefinendo al tempo stesso le priorità strategiche del Paese. Sullo sfondo, la guerra in Sudan sta esacerbando le tensioni regionali, mettendo il Ciad in una posizione delicata, accusato da alcuni di far transitare armi per le Forze di Supporto Rapido (FSR).
La Francia al bivio
Per la Francia, questa decisione ciadiana rappresenta una profonda messa in discussione della sua strategia africana. Dopo i fallimenti diplomatici in Mali, Niger e Burkina Faso, Parigi perde il suo ultimo punto di riferimento nel Sahel. Se il ministro Jean-Noël Barrot, in visita a N'Djamena lo stesso giorno dell'annuncio, sperava di riaffermare i legami bilaterali, si è trovato di fronte ad una realtà crudele: il tempo dei partenariati squilibrati sembra essere finito.
Emmanuel Macron aveva tuttavia cercato di ridefinire il ruolo della Francia nel continente. Il rapporto presentato questa settimana da Jean-Marie Bockel raccomanda un “partenariato rinnovato e co-costruito”. Ma questo cambiamento teorico si scontra con una palpabile esasperazione delle popolazioni e delle élite africane. L'appello di Barrot a porre fine alle interferenze straniere nel conflitto sudanese – una velata critica alla Russia e agli Emirati – illustra l'imbarazzo di Parigi per l'ascesa di nuove nazioni influenti.
Una dinamica regionale irreversibile
La decisione del Ciad si inserisce in una grande tendenza: quella di un'Africa saheliana che vuole riappropriarsi del proprio destino. Il discorso della sovranità, portato avanti da personaggi come Ibrahim Traoré in Burkina Faso o Assimi Goïta in Mali, trova ora un’eco in Ciad, paese tuttavia considerato un fedele alleato della Francia. Questo movimento non si limita al settore militare. Riflette un desiderio più globale di ripensare le relazioni con le ex potenze coloniali e di diversificare i partenariati, in particolare con Cina, Russia e Turchia.
La specificità del Ciad, tuttavia, risiede nella prudenza del suo approccio. A differenza dei suoi vicini, N'Djamena non rifiuta completamente Parigi. L’obiettivo dichiarato è “ridefinire i partenariati strategici secondo le priorità nazionali”, senza voltare le spalle a un partner storico. Questo atteggiamento misurato potrebbe aprire la strada a una rinnovata forma di cooperazione, basata sul rispetto reciproco e su una migliore comprensione delle aspettative locali. Il Ciad, da tempo dipendente dal sostegno militare francese, sta inviando un messaggio chiaro: è pronto ad assumersi il proprio destino, anche se ciò significa correre dei rischi.