Wael Shawky rivisita Pompei al LaM di Villeneuve-d’Ascq

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Immagine estratta dal film « I am Hymns of the New Temples » (2023), di Wael Shawky. AMEDEO BENESTANTTE/WAEL SHAWKY/MINISTERO DELLA CULTURA/PARCO ARCHEOLOGICO DI POMPEI

I video di Wael Shawky promettono sempre un viaggio in una forma accattivante, tra danza e canto, attraverso il tempo e nelle profondità delle identità. Nato nel 1971, l’artista egiziano, che vive tra Alessandria e Filadelfia (Pennsylvania), si è fatto conoscere a cavallo degli anni 2010 con la sua trilogia di Crociate di cabaretin cui ha rievocato, con marionette, conflitti medievali tra musulmani e cristiani, basati sul libro Le crociate viste dagli arabi, di Amin Maalouf (JC Lattès, 1983). Alla Biennale di Venezia, dove quest’anno l’artista multidisciplinare rappresenta l’Egitto, guarda con Dramma 1882su un episodio chiave della storia egiziana – la rivoluzione nazionalista di Urabi – in una splendida e inquietante commedia musicale con scene e costumi stilizzati. Io Sono Inni dei Nuovi Templi (“Io sono gli inni dei nuovi templi”), film girato nell’estate del 2022, uscito nel 2023 e attualmente presentato sul grande schermo al LaM – Lille Métropole Museo d’arte moderna, arte contemporanea e outsider art, a Villeneuve -d’Ascq (Nord) – si rivela altrettanto originale ed ipnotico.

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Niente marionette, bambini o cantanti questa volta, ma una folla commovente di ballerini mascherati, che si muove tra i resti di Pompei. Al centro della narrazione, il tempio di Iside, testimonianza della sopravvivenza dei riti egizi nel mondo romano, cristallizza il perpetuo decentramento di vedute che Wael Shawky propone nella sua ricerca artistica. Affascinato dal sincretismo religioso e culturale, l’artista immaginò un’epopea attorno alla dea del pantheon egiziano Iside, che trasformò in Io, giovane sacerdotessa perseguitata dall’ardore di Zeus e in Era, moglie di quest’ultimo, trasformata in giovenca per vendicarsi. .

Regno dei Titani e degli dei dell’Olimpo, l’antica città diventa il teatro a cielo aperto di un grande affresco poetico attraversato dai miti fondativi e dalla ricca iconografia del sito. Forme e significati sono in continuo mutamento, mentre l’incarnazione dei personaggi è distanziata da un’ottantina di maschere in ceramica e cartapesta ispirate alla tragedia greca e alla farsa campana, e da una voce fuori campo. Riletture di storie ancestrali e restituzioni epiche si intrecciano, tracciando contorni culturali porosi tra realtà e finzione, e al di là di ogni divisione tra Occidente e Oriente.

Grande favola

“Tutto è fluido e atmosferico”, sottolinea Sébastien Delot, ex direttore di LaM, partito per il Museo Picasso. È stato lui a programmare questa coproduzione tra il Parco Archeologico di Pompei e il Ministero della Cultura italiano, una delle prime commissioni del progetto Pompeii Commitment – ​​​​Archaeological Matters, il nuovo e ambizioso programma di arte contemporanea del sito, che include lo storico dell’arte Andrea Viliani, co-curatore della mostra di Marisa Merz, headliner di LaM quest’estate, è uno dei responsabili.

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