Pochi tenori hanno infranto la barriera del suono del grande pubblico. Dopo Roberto Alagna, di cui è uno degli eredi, è Benjamin Bernheim a sedurci ben oltre la sfera degli specialisti. La cantante lirica che si esibirà questa domenica 24 novembre all'Opéra Garnier di Parigi (concerto integrale, trasmesso su France Musique il 28 dicembre alle 20), è volata sull'anello olimpico sopraelevato dello Stade de France, accompagnata da un pianista in onda l'11 agosto durante la cerimonia di chiusura dei Giochi Olimpici.
Ha eseguito una melodia di Fauré con testi che rendono omaggio all'antico Olimpismo. Il suo attuale tour è dedicato a un album di canzoni assolutamente deliziose (alla Deutsche Grammophon): Berlioz, Chausson, ma anche “Douce France” – la sua cover di Trenet che dà il titolo al disco –, le “Feuilles Mortes” del duo Kosma-Prévert, e una struggente e memorabile interpretazione di “Quand on a que l’amour” di Brel. Sembra che questo classico sia stato scritto per lui. Indubbiamente ci mette dentro molte delle sue crepe personali. Un lasciarsi andare alla sua voce argentata che sfiora un incredibile virtuosismo negli acuti.
L'uomo della cerimonia di chiusura di Parigi 2024 è un frequentatore abituale dei più grandi palcoscenici d'opera. Benjamin Bernheim, 39 anni, ha continuato quest'estate con “I racconti di Hoffmann” di Offenbach, al festival di Salisburgo (Austria), “i Giochi olimpici dell'opera e della musica lirica”, come ci ha raccontato sorridendo.
Artista lirico dell'anno alle Victoires de la Musique Classique 2020 e 2024, il franco-svizzero è alla ricerca da molto tempo. Figlio di una coppia di cantanti che non hanno raggiunto la sua notorietà, esita di fronte alle vertigini della professione, alla sua fragilità. L'ultimo decennio lo ha rivelato a se stesso in ruoli importanti, da Werther a Romeo.
In “Douce France” canta principalmente poesie di Théophile Gauthier e Charles Baudelaire, oltre a questi tre monumenti della canzone popolare francese. Il suo duetto voce-pianoforte con Carrie-Ann Matheson, suo alter ego musicale per dieci anni, apporta molta intimità all'ambientazione di questa voce incredibilmente chiara, senza effetti. Bernheim non vuole mai interpretare il crooner o il virtuoso – gli basta senza aggiungere altro – ma cerca la polpa della parola, del sentimento, della vulnerabilità e talvolta del dolore. Una voce miracolosa e consolante per attraversare l'autunno e l'inverno.