Yves Petignat
editorialista
Pubblicato il 28 aprile 2024 alle 09:08. / Modificato il 28 aprile 2024 alle 09:09.
La mia settimana svizzera
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Nella corsa agli armamenti globale, l’esercito svizzero appare come la milizia degli angeli. Almeno se dobbiamo attenerci solo ai criteri della spesa militare. La sinistra pacifista dovrebbe gioire. Le statistiche pubblicate questa settimana dallo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), un istituto di ricerca sui conflitti armati e sulla spesa per gli armamenti, indicano chiaramente la febbre della sicurezza che ha attanagliato il mondo negli ultimi due anni. Con un aumento del 6,8% lo scorso anno, il maggiore dal 2009, la spesa militare globale ha raggiunto i 2.443 miliardi di dollari. In questo mondo turbolento, la Svizzera rimane nella sua leggendaria modestia. Dopo l’Irlanda e allo stesso livello dell’Austria, è il Paese europeo che destina la percentuale più bassa (0,7%) del proprio Pil alla spesa per gli armamenti. Siamo lontani dal 3,4% degli Stati Uniti, da oltre il 6% della Russia o dal 2% della Francia (1,9% secondo la Banca Mondiale).
Tuttavia, queste cifre preoccupanti sono ancora ben al di sotto di quelle vissute dal mondo nel pieno della Guerra Fredda, quando la spesa globale raggiungeva oltre il 6% del PIL del pianeta. In Svizzera abbiamo superato il 2,5% fino agli anni ’70 e ancora l’1,5% quando è crollato il Muro nel 1989. Ma anche la spesa è tornata a tassi inferiori all’1%, era ancora troppo per un PS che aveva incluso – un po’ contro il parere dei suoi leadership, bisogna ammetterlo, l’abolizione dell’esercito nel suo programma. Due anni fa i socialisti chiedevano ancora che il messaggio fosse rispedito all’esercito a causa “delle spese colossali e ingiustificabili perché slegate dalle realtà strategiche”.
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