Primi quattro romanzi: Simon Chevrier, Juliet Drouar, Clothilde Salelles, Julien Perez

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CSpesso si comincia con i festeggiamenti di fine anno dai quali si vuole scappare, se si può; con i libri, ad esempio.

Si inizia con Foto su richiesta di Simon Chevrier, ovviamente, visto che ho potuto seguire alcuni passi fino alla pubblicazione e ho dovuto organizzare un incontro presso la libreria Les mots à la bouche all’inizio di gennaio. Non voglio cedere all’imperativo un po’ subdolo secondo cui è necessario attraversarlodover leggere i nuovi romanzi di settembre e gennaio come un orologio. Voglio leggere quello che potrebbe piacermi.

Ai miei librai, poi, chiedo: avete qualche consiglio tra le uscite di gennaio? Stanno iniziando a conoscere e capire i miei gusti ormai. Noto, noto, faccio la mia selezione. Colleziono o ricevo le opere. Li leggo, sui treni o sui divani di famiglia, prendo appunti.

Parto dai primi romanzi, e cerco di vedere quali potrebbero costituire le linee guida per questo nuovo anno scolastico. Cosa potrebbe unire Juliet Drouar, Simon Chevrier, Clothilde Salelles e Julien Perez che hanno rispettivamente firmato il loro primo romanzo, in uscita questo gennaio? Diciamolo velocemente: per i primi tre, l’analisi attenta, più o meno riuscita, del nucleo familiare e del posto del padre in esso. L’ultimo, un libro composito sul mondo dell’arte contemporanea e sui modi di rendergli omaggio.

Cominciamo, allora.

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Prima una fotografia. Quello sullo striscione del libro di Simon Chevrier: Foto su richiesta. Dobbiamo aspettare fino a pagina 29 per incontrarlo nel libro: “ […] uno scatto in bianco e nero di un giovane con il corpo piegato, che si succhia l’alluce. » L’autore la incontra nell’appartamento di un amante; poi, in un certo senso, va a cercarlo. Cercate il fotografo – è Peter Hujar –, e soprattutto cercate il modello, molto meno conosciuto: Daniel Schook. Uno sgarbo: appena sembra ritrovare qualcosa di sé, qualcuno che lo conosceva, sparisce, non serve a nulla. Spesso morivano persone che avrebbero potuto conoscerlo.

La fotografia di Peter Hujar e la ricerca del modello lo riportano sistematicamente agli anni dell’AIDS. In questo modo viene sottolineata l’epidemia della rappresentazione così come si è presentata dopo l’avvento del morbo in Occidente. Le conseguenti perdite di artisti, attivisti, archivisti e storici dell’arte sembrano incarnarsi in questo Daniel che l’autore cerca, un doppio reale quanto immaginario che, come sappiamo, potrebbe declinarsi in tanti fantasmi quanti ne ereditiamo quando cresciamo con questa eredità troncata.

E la malattia si manifesta in modo diverso nel corso delle pagine – qui tocchiamo un’altra parte senza dubbio molto importante del romanzo: la malattia del padre. Alla fine della sua vita, l’autore lo visita alcune volte prima di doversi abituare a una vita senza di lui; “ sapere come stare senza mio padre “. L’occasione di ritornare, con una brevità e una semplicità che nulla toglie alla forza narrativa e letteraria, su tutto ciò che eredita da lui, in questo caso.

Se Simon Chevrier fa parte di un lignaggio, è quello di questi scrittori di autofiction, gay e no. Christine Angot, Guillaume Dustan… Anche qui potremmo vedere una forma di eredità. Hervé Guibert: no, non proprio. Differisce in molti aspetti, quasi a spiegarne il motivo. Di questa famiglia si distingue per l’approccio alla realtà e per la propria descrizione. Quasi clinico, voglio dire: tecnico. Non fa freddo. È ancora qualcos’altro.

Una scrittura tanto dell’assenza (come l’assenza di sé stessi, a volte), quanto dei dispersi (suo padre e la modella della foto). Le cose vengono raccontate come sono. Dai ricordi dell’infanzia al momento presente, dal lavoro sessuale al lavoro di ricerca sulla fotografia di Peter Hujar… tutto uguale. E questa è una forza: una grande forza nella scrittura.

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Quindi passo al libro di Juliet Drouar. Dalla prima frase capisco che a parlare dovrebbe essere un bambino. Un bambino che è il narratore. Un esercizio che mi è sempre dispiaciuto, tanto vale essere sincero: parlare dell’infanzia così, con quel linguaggio. Questa oralità fabbricata. Sto già cercando di sottolineare uno dei problemi di questo libro: il suo linguaggio. A volte quasi illeggibili, confuse, a volte quasi ridicole, ampollose… Lo dimostrano in particolare queste note esplicative di cui avremmo fatto a meno, il più delle volte.

Tuttavia il significato politico c’è. Molto vicino. Anche l’importanza di una storia del genere, la possibilità di voto per i minorenni; la possibilità di parlare individualmente e collettivamente della violenza e del dominio subiti nell’infanzia e nell’adolescenza, e anche dell’incesto. L’argomento è importante, il che rende il lavoro del critico, per così dire, ancora più difficile. Dare un giudizio negativo sembra più difficile. Vale a dire, abbiamo invidia amare questo libro. Sinceramente.

Tuttavia ne sono uscito più volte, quasi fino in fondo. Per lo stile, come ho detto; ma anche a causa della costruzione narrativa prevedibile, come se fosse già scritta, e tuttavia altamente non plausibile. Questo è il paradosso dell’utopia: creare un effetto della realtà su una possibilità. Credere et far crederein qualche modo. In modo che le rappresentazioni fantasticate possano essere proiettate, attraverso lo spazio letterario, in questo caso.

Nel 2027 il diritto di voto sarà aperto anche ai minorenni: questa la premessa iniziale. Da questo postulato nascono tutta una serie di avvenimenti più o meno legati a questa questione, ma che ruotano tutti attorno alla politicizzazione dell’infanzia e alle dominazioni che vi si svolgono. Pensiamo naturalmente al lavoro di Tal Piterbraut-Merx sul rapporto adulto-bambino, ai suoi articoli e alla sua tesi postuma pubblicata da Blast. Pensiamo anche agli altri scritti di Juliet Drouar, brillanti e necessari – se Cui-Cui è il suo primo romanzo, ma non è il suo primo libro.

Non vorrei cedere a questa facilità, nel dire che Juliet Drouar dovrebbe limitarsi alla scrittura “teorica”. Tuttavia è chiaro che il romanzo non mi appare subito il modo migliore per presentare le proprie tesi, per il momento – o magari con un migliore lavoro editoriale.

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C’è un segreto, innanzitutto: tutti hanno insonni a casa. Si tratta di La nostra insonniadi Clothilde Salelles. La mancanza di sonno del padre è autorevole e si ripercuote anche sul resto della famiglia. E’ così. Anche gli elementi del linguaggio che diventano costitutivi del discorso del padre e di chi lo circonda e che il libro vuole renderci visibili, addirittura udibili. Parole portamanteau, parole dette che il narratore, al confine tra infanzia e adolescenza, ascolta e integra.

I posti letto sono paralleli. Finché il padre non dorme, non può dormire nemmeno lei. In questa casa in una residenza suburbana, nel cuore dell’Essonne. Quando i rumori scompaiono – l’acqua del rubinetto, i passi leggeri verso il frigorifero – si lascia addormentare, poiché la scomparsa di questi rumori domestici è il segno che il padre si è finalmente addormentato. Il tempo dell’insonnia è plastico. Si irrigidisce, si rilassa, a seconda. Giorni, notti, stagioni. La famiglia è il luogo dei segreti. Il segreto della chiave per dormire.

Ma qualcosa accadrà. Nella casa, nella foresta che la circonda, popolata da cervi e cervi apparentemente pacifici. Sì, qualcosa accadrà, questo è certo. Tutta la prima parte del libro è pervasa da una sensazione di inquietante stranezza. Nonostante la reazione negativa della figlia ogni volta, il padre ogni estate fa una battuta: questa volta la madre non viene, resta qui e li lascerà andare. Lo ripete ogni anno. Anche la ragazza, nelle lacrime e nella rabbia, ogni volta. Nella sua profonda paura di vedere sua madre scomparire. Il padre compie questa scomparsa fittizia, “comica”… divertente: per chi?

Anche la cura dei dettagli nelle descrizioni contribuisce a questa sensazione. Tutto è sezionato con grande attenzione, tutti i gesti, i comportamenti, gli oggetti, le cose lasciate. Sempre, una domanda: cosa ereditiamo? E come? È sufficiente analizzare ogni giorno i propri genitori e provare a fare qualcosa di diverso per fermare questa trasmissione apparentemente inevitabile? E i compagni di scuola hanno gli stessi genitori, le stesse domande sospettose nei loro confronti? “ I padri furono le prime vittime di queste riscritture. » Una cosa li accomuna: quando si tratta di padri, tendiamo a inventare un po’, ad abbellire una realtà non necessariamente glamour.

È tutto ciò che accade alla fine dell’infanzia che Clothilde Salelles si sforza di descrivere, di scrivere. Accesso parziale al linguaggio e alla comprensione degli adulti. Ai codici di questo universo. Leggere il giornale, bere un caffè: a che scopo? Problemi di soldi. Tutto è così lontano eppure così vicino. Alla periferia del narratore, lei stessa alla periferia di tutto. I sentimenti, per esempio. Mi fermo qui, non voglio troppo; gran parte del libro si concentra sulla descrizione di a Dopoe per parlarne qui avrei bisogno di svelarlo troppo.

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finisco Tributi di Julien Perez, un po’ in disparte in questa selezione di primi romanzi – in particolare per il suo netto rifiuto della narrazione. Si tratta di qualcos’altro. Come disegnare il contorno di qualcuno? Letteralmente. Come dirlo? Dirlo? Molte persone parlano. Dipingi il ritratto di qualcuno. La finzione è lì, subito: poiché i punti di vista sono molteplici e soggettivi, nulla è vero; o meglio, tutto lo è. Qualcuno è morto. Era un artista.

Aveva immaginato una mostra dove alle pareti non fosse appeso nulla. Piuttosto persone, persone che hanno detto la stessa cosa durante tutta la giornata, durante gli orari di apertura della mostra. Più di cento persone. I loro discorsi si sono indubbiamente organizzati nel corso delle ore, attraverso scambi e intrecci.

La cerimonia d’addio scritta da Julien Perez sembra piuttosto simile a questa mostra immaginaria e immaginata. Quasi ne dubitiamo: è esistita davvero tutta questa gente che parla? O sono solo avatar di una persona? Anche il ritratto è loro. E da un certo ambiente, il mondo dell’arte contemporanea parigina, dalle scuole alle mostre e performance, e tutte le relazioni che si formano e si dipanano in questi luoghi designati. Bar, enti, residenze per collezionisti, ecc.

Lo stesso espediente letterario, che dà il titolo al libro, Tributidiventa ancora un’altra cosa man mano che il cappio si stringe. I personaggi cercano nel vuoto. In un gesto beckettiano – non il linguaggio, più il concetto – cercano, aspettano che succeda qualcosa, che l’artista ritorni, forse. L’oggetto libro stesso diventa oggetto d’arte contemporanea, poiché sembra racchiudere tutto questo piccolo universo, angusto e immenso allo stesso tempo, fatto di reti, queste piccole figurine che parlano senza mai fermarsi, che raccontano e raccontano fino alle volte dettagli insignificanti: spesso sono i più belli.

Ricordi e flash, è senza dubbio qui che sta la grande bellezza del libro di Julien Perez, nei suoi voli controllati; ed è così che firma il libro forse più singolare di questa stagione letteraria, componendo con tutti i suoi personaggi la scacchiera di una persona e della sua memoria.

Simone Chevrier, Foto su richiestaEdizioni di stock, gennaio 2025, 178 p., €20
Giulietta Drouar, Cui-Cuiedizioni di Le Seuil, gennaio 2025, 192 pag., 20€ 50€
Clotilde Salelles, La nostra insonniaedizioni L’arbalète/Gallimard, gennaio 2025, 256 p., € 20,50
Julien Perez, TributiEdizioni POL, gennaio 2025, 376 p., €22

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