Libro di investigazione –
Non è stato ancora detto tutto sul ritorno del lupo in Svizzera
La giornalista Camille Krafft pubblica un libro sui legami tra uomo e animale. Una storia selvaggia e domestica, tra amore e odio.
Pubblicato oggi alle 7:28
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- La giornalista Camille Krafft analizza la questione del ritorno del lupo in Svizzera.
- Il suo libro denuncia idee preconcette e rivela una realtà molto più complessa.
- Dà voce a tutte le parti interessate: allevatori, ecologisti, politici, cittadini.
- Il ritorno del lupo è una rivelazione, uno specchio per l’uomo e la società.
Lo abbiamo pensato il dibattito attuale sul ritorno del lupo tra gli uomini si trovarono in un vicolo cieco. Che il racconto di questa ricomparsa dell’animale selvatico si limitava a contrapposizioni primarie, vicine alla caricatura: tra il rurale e l’urbano, tra l’allevatore-cacciatore e l’ecologista illuminato, tra l’estrema destra e l’estrema sinistra politica, natura e cultura. L’ultimo libro di Camille Krafft, “Da un lupo all’altro”, edito da Éditions Antipodesdenuncia questi preconcetti e rivela una realtà molto più complessa.
L’ex giornalista di “24 Ore”. cambia il dibattito. Per fare questo, ha iniziato tutto dall’inizio. Innanzitutto, rileggete gli appunti presi dalla comparsa del primo pacchetto nel canton Vaud nel 2019. Poi scendete sul campo, incontrate tutti i partiti e consultate gli specialisti. Dopo aver effettuato questa analisi, l’autore ha ricostituito il puzzle, pezzo per pezzo. Il risultato va ben oltre la semplice inchiesta giornalistica pubblicata in un libro. Lo stile vivace, meraviglioso e preciso ci avvicina alla letteratura.
La morte del lupo?
“Da un lupo all’altro” sottolinea l’ovvio. In Svizzera il lupo non è mai realmente scomparso. Ufficialmente fu sradicato alla fine del XIX secoloe secolo. La storia dimostra, tuttavia, che non scomparve. Per anni si è finto morto, sfruttando le Alpi come base arretrata per farsi dimenticare, sopravvivere e riemergere meglio. Ogni sua ricomparsa (1947 nel Vallese, 1978 nei Grigioni, 1990 a Soletta) provocò panico e ostilità. Furono organizzati dei battimenti per abbattere il mostro. Solo alla fine degli anni ’90 l’animale ha colonizzato l’intero territorio. Appaiono i primi pacchi.
Due eventi caratterizzano la nostra epoca. Da un lato, legislazione a favore delle specie protette permette al canide selvatico di respirare un po’, di ambientarsi nel paesaggio. Il recente indebolimento del suo status da parte dell’Unione Europea cambierà sicuramente la situazione. D’altro canto, i politici monopolizzano il dibattito. A destra, l’Udc si infiltra nel movimento antilupo per renderlo la punta di diamante di una visione macho, isolazionista e tradizionalista del mondo rurale. A sinistra, gli ecologisti difendono un modo di convivenza disinibito, a volte disconnesso dalla realtà. Il confronto tra questi due estremi genera piuttosto un dialogo inudibile tra sordi.
Dibattito sulla protezione
Camille Krafft ha cercato di superare questo divario, dando voce a tutti i partiti. Nessun tabù. Seduto nella cucina della sua fattoria, un allevatore piange la morte di un animale da fattoria. L’emozione è forte anche nella voce di questo attivista che ha M95 tatuato sulla gamba, numero di un lupo ucciso per errore da un guardiano della fauna selvatica. Politici, cacciatori, pastori, contadini, editorialisti: ognuno esprime i propri pensieri, le proprie paure, i propri sogni. Le storie si intrecciano, rispondendo indirettamente l’una all’altra. Rivelando sfumature insospettate. Il libro ci permette così di ricreare collegamenti, di ravvivare gli scambi.
Alla fine il lettore ne esce più intelligente. Si rende conto che il ritorno del lupo è uno specchio per l’uomo. L’animale selvatico è l’altro: il migrante, lo straniero, lo sconosciuto. Attraverso le pagine, questa vicenda mette in discussione la nostra convivenza, la nostra capacità di adattamento e di accoglienza. Cosa fare di fronte a Canis lupus? Disegna o pensa? Integrare o escludere? Ansia o confronto? Camille Krafft si pone queste domande senza dare una risposta. Secondo lei sono gli attori che devono scrivere la fine di questa storia. “Questo numero ci offre la possibilità di ridefinirci come società e di ripensare il nostro senso collettivo, in un’era di individualismo oltraggioso”, conclude lo scrittore.
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