Incoronata dalla Goncourt, Houris di Kamel Daoud offre voce alle donne vittime del decennio nero in Algeria.
Prod. C
Bisogna diffidare della gentilezza di Fajr, una giovane donna algerina affetta da una deformità alla gola che la costringe a respirare attraverso una cannula. Questo difetto che le impedisce di parlare, lo porta sul collo, attaccato ad una cicatrice di diciassette centimetri, ricordo – atroce – di una notte del 1999 in cui, da bambina, per poco non venne sgozzata dagli islamisti che attaccarono il suo villaggio . Il libro racconta il lungo monologo di Fajr che, in occasione della festa dell’Eid, si confida con la bambina che porta in grembo, che crede sia una femmina, ma che esita a tenere, perché il suo paese non è gentile con le donne che vivono lì su “un sentiero di spine”. Nessuno sa che è incinta, ma Fajr (Aube, in francese) chiama a testimoniare questa bambina che ha già battezzato Houri (dal nome delle vergini promesse al paradiso), ascoltando la sua sofferenza che riassume quella di tutti gli algerini donne frenate dalle tradizioni.
Trasgressione dei tabù
Dietro l’apparente tranquillità del mormorio dell’eroina (evoca il suo “linguaggio interiore”) e l’effetto lirico avvolgente suscitato dalla scrittura di Kamel Daoud, si celano la rabbia e la ferocia di un autore che, trasgredendo il tabù degli anni FIS (Islamic Fronte di Salvezza – una legge del 2005 vieta di parlare di questo periodo buio), non è più il benvenuto nel suo Paese dove la sua vita è in pericolo. Quasi dieci anni fa, Daoud aveva già vinto il Goncourt per il primo romanzo con Meursault, una contro-inchiesta in cui immaginava la testimonianza del fratello dell’arabo ucciso sulla spiaggia da Meursault ne Lo straniero di Camus…
Ore ★★★✩
Kamel Daoud, Gallimard, 400 pag.
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