[Critique livre] John Wayne: classe americana

[Critique livre] John Wayne: classe americana
[Critique livre] John Wayne: classe americana
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Caratteristiche

  • Titolo : John Wayne: classe americana
  • Autore : Boris Szames
  • Editore : Capricci
  • Data di uscita nelle librerie : 13 settembre 2024
  • Formato digitale disponibile : No
  • Nome delle pagine : 104
  • Premio : 11,50 euro
  • Acquirente : Clicca qui
  • Nota : 7/10 par 1 critica

Marion Morrison è John Wayne

John Wayne: classe americana è un'opera pubblicata in Edizioni Capricci nella raccolta Stories e scritto dal giornalista e critico cinematografico Boris VergognaS (SoFilm, Metallo urlante), che si è già cimentato nell'esercizio registrandolo C'era una volta Deneuve pubblicato da Marabout.

Il libro stesso è infatti l'ultimo di una raccolta di già 16 opere di identico formato e che conta tra le sue fila grandi nomi come Robert Mitchum, Marlene Dietrich, Mel Gibson e Takeshi Kitano. Un insieme eterogeneo di figure della settima arte a cui finora mancava uno dei suoi rappresentanti più emblematici: John Wayne “Il Duca.” Da solo, incarna l'immagine del cowboy dall'andatura ondeggiante che regola i conti a colpi di sole al tramonto e, più in generale, quella dell'eroico giustiziere.

Ma, dietro la leggenda di “Duke”, c'era una ragazzina dell'Iowa di nome Marion Morrison che sognava di diventare una calciatrice piuttosto che un'attrice di Hollywood. È questa storia dell'uomo dietro le sue leggendarie maschere che Boris Szames tenta di raccontarci (ma percepita in una prospettiva contemporanea) in un'opera di un centinaio di pagine piuttosto ben documentata, e che ha il merito di distillare alcuni aneddoti succosi. (il suo incontro con Nikita Krusciov) o veri e propri momenti di commozione (la consegna del suo Oscar, il suo complicato rapporto con John Ford) che ci permettono di comprendere meglio il personaggio.

Non sappiamo più dove dare Duke!

Ciononostante l'opera non è esente da difetti, non per la personalità del suo soggetto, che ha ampiamente motivo di riempire le pagine con i suoi aneddoti e storie di vita vissuta, ma piuttosto per la responsabilità dell'autore stesso che, forse suo malgrado , ha due difetti.

Il primo, il più minore, è sicuramente che l'autore ha un pregiudizio e un orientamento politico sicuramente diverso da quello di John Wayne. Tuttavia, come abbiamo detto, questo è il piccolo difetto, perché una persona che non condivide le tue idee o convinzioni non è un problema in sé finché le sue posizioni sono difese con la forza dei suoi argomenti. Il problema è che sembra troppo e che l'autore a volte dà l'impressione di muovere il soggetto, soprattutto nel primo terzo e alla fine.

Un'impressione rafforzata dal secondo difetto, questa volta legato alla scrittura, dove abbiamo la sensazione che Boris Szames, nonostante uno stile elegante, ami ascoltarsi parlare o meglio ami leggersi e rileggere la sua prosa. La suddivisione in capitoli è probabilmente volutamente frammentata: si passa da un'epoca all'altra, da una situazione all'altra, da un John Wayne invecchiato, addirittura morente, a un John Wayne più giovane, a volte senza alcuna vera interruzione, e il tutto a volte sembra un tentativo autoriale degno di David Lynch.

Questo potrebbe essere interessante, tuttavia, l'argomento non si presta a questo tipo di esercizio e anzi rende la lettura piuttosto difficile… o almeno poco piacevole. John Wayne: classe americana trae la sua forza più dal soggetto che dal suo autore. Non che la scrittura sia brutta, anzi è piuttosto sofisticata, e anche piuttosto divertente a tratti, ma sentiamo troppa voglia di fare un esercizio di stile. Sentiamo anche il desiderio di ripercorrere la vita di John Wayne e, in particolare, la sua filmografia, per sostenere meglio la sua tesi. Il cinefilo che sono e un grande fan dei western non può, ad esempio, permettersi commenti come quello in cui dice, cito: » va a guarire dalla contusione di Alamo (che ricevette un'accoglienza deludente rispetto alle ambizioni di Wayne) nei goffi western di Andrew V. McLaglen, affiliato della BATJAC (la società di produzione fondata da Wayne), quando non è istrionico in quelli di Henry Hathaway..

Andrew V. McLaglen ha diretto, tra gli altri con John Wayne, Il grande McLintock (1963), una commedia western di grande successo che termina con una monumentale sculacciata di Maureen O'Hara (senza dubbio la ragione contemporanea del suo rifiuto) o Chisum (1970), solido western in cui Wayne interpreta il proprietario terriero del titolo. Oltre a Wayne, ha diretto film di altissima qualità come Oche selvatiche (con Richard Burton) o Lupi del mare profondo (Roger Moore e Anthony Perkins). In breve, non ci “perderemo” quando ci troveremo sotto la macchina da presa di questo regista. Quanto a Henry Hathaway, non andiamo in giro a casa sua, prendiamo parte a film riconosciuti come La conquista dell'Occidente (1962) o I quattro figli di Katie Elder (1965) fino alla consacrazione di 100 dollari per uno sceriffo (1969), per il quale Wayne vinse il primo (e ultimo) Oscar della sua carriera.

Un evento comunque ben raccontato nel libro, che mette in discussione l'ambivalenza dell'autore, chiaramente più interessato al rapporto padre/figlio che Wayne aveva con il tirannico regista John Ford, e questo pur scorrendo il filmato Il prigioniero del deserto (1956), che tuttavia rappresenta l'apice della loro collaborazione – e forse la prima volta, secondo l'autore di queste righe, in cui Wayne avrebbe potuto rivendicare un premio per la sua interpretazione. Un'ambiguità in più, ma che tuttavia non è incompatibile con il suo oggetto.

Morrison è morto, Wayne è eterno

John Wayne è un uomo, uno vero. Potremmo dirlo nel senso letterale del termine, anche se significa far saltare dalle sedie progressisti di ogni genere, ma potremmo anche intenderlo in modo più antropologico e psicologico, sottolineando che era una persona piena di passioni. . ma a volte dubbi e risentimenti. Un uomo buono, che cercava di fare il bene ma a volte si confondeva sui metodi da seguire. Un ideologo guidato dalle sue convinzioni, e talvolta da coloro che lo circondano, ma di una sincerità disarmante quando si tratta di difendere il suo punto di vista, che lo approviamo o meno. Non era perfetto, ma era dritto nei suoi stivali da cowboy, bruciava le cartucce al ritmo dei suoi amori, dell'alcol e delle sigarette, ma rimaneva dignitoso quando suonava la campana. Un uomo, vero, perché era pieno di contraddizioni, ma rimase fondamentalmente onesto nella sua linea di condotta per tutta la vita, e non sono le persone che lo hanno conosciuto a dirvi il contrario.

Sentiamo tutto questo nel racconto di Boris Szames, ed è un ottimo punto a suo favore, ma sentiamo anche una costante inclinazione a giustificare il nostro punto di vista, anche se ciò significa sovrainterpretare gli eventi illustrandoli con le sue stesse parole e non quelli che provengono dalla bocca di John Wayne o di chi gli è vicino. Anche Boris Szames, lui stesso umano, finisce per cadere nel desiderio di imporre la sua visione, anche se ciò significa trascurare ciò che non gli si addice. Non sta a noi analizzare le motivazioni personali dell'autore che, però, conclude il suo lavoro in due tempi: prima logicamente citando il film Testamento L'ultimo dei giganti di Don Siegel (regista, tra l'altro, di L'ispettore Harry con Clint Eastwood) ma poi si dirama in un’analogia contemporanea con l’allusione a movimenti come Black Lives Matter che seguirono la morte di George Floyd.

Un parallelo molto imbarazzante perché irrilevante (soprattutto per scivolare in un'allusione al mandato di Donald Trump) e al quale il protagonista della sua opera non può più rispondere, anche se possiamo supporre che si sarebbe mosso sopra un carro armato di aggressione da parte degli studenti di Harvard per giustificare le proprie posizioni.

Allo stato attuale, quest'opera adempie alla sua funzione di permetterci di comprendere meglio la complessa personalità dell'uomo (anche se, come dicevamo in precedenza, la sua lettura a volte può risultare faticosa). Possiamo però consigliarvi, per completare l'avventura, di leggere anche l'opera di Roland Jaccard, John Wayne non è morto pubblicato da Pierre Guillaume De Roux, che completerà molto bene questo con un'accessibilità di lettura più leggera.

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