“L’Eclisse” di Sarah Bussy, letto da Maélysse Sissoko, studentessa liceale – ​​Libération

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Ogni settimana, un lettore recensisce un preferito. Oggi, una donna catturata nel nord.

Hai mai desiderato andartene, scappare? Hai mai guardato la tua vita con un'insopportabile sensazione di lavoro incompiuto, vedendo solo i tanti errori che ti hanno portato ad un abbandono irreversibile? Hai mai avuto davvero il coraggio di andartene? Questo è ciò che fa Camille nel secondo romanzo di Sarah Bussy, l'eclissimeraviglioso, suggestivo e ghiacciato come le prime nevi. Durante una passeggiata nella foresta con il marito e la figlia, Camille decide – o meglio, si rende conto – che il suo posto non è più in Francia, vicino alla famiglia e agli amici, ma fuori dalla sua stessa vita; oltre i confini, sempre più verso nord. Senza dire nulla, senza avvisare nessuno, Camille fugge, abbandonando tutto ciò di cui fino ad ora si era occupata: famiglia, lavoro, amore, stabilità e sicurezza. La sua fuga, incomprensibile ma determinata, la porta dove “le giornate non sono altro che vasti crepuscoli, o albe, che si allungano e si trascinano attorno alle spettrali ore del mezzogiorno.”

Ogni pagina si blocca un po' di più. Leggiamo l'eclissi assolutamente congelato di fronte all'ignoto in cui Camille si tuffa, sola e circondata da una natura indomabile, dove anche noi abbiamo l'impressione di andare alla ricerca di noi stessi. Sarah Bussy ci guida, con una penna delicata e contemplativa, sotto cieli stellati, dove “La neve offre uno specchio alla luna. Il lago a volte sembra illuminato dall'interno, fluorescente, ai piedi di un vulcano dormiente e silenzioso, la vita


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