Dove siamo ora? – su due libri di Cécile Wajsbrot

Dove siamo ora? – su due libri di Cécile Wajsbrot
Dove siamo ora? – su due libri di Cécile Wajsbrot
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Dove siamo ora? – su due libri di Cécile Wajsbrot

Di Éric Loret

L’autore del ciclo Alto mare ritorna con una storia frammentata, infestata ed eclettica, dove testi, canzoni e opere d’arte volano e si intrecciano senza peso attorno ai disastri aerei. L’opportunità per la scrittrice di delegare il suo verbo a un corifeo, entità in perpetua ricomposizione che le permette di obbedire a ciò che nomina, in Il giorno dopo“l’undicesimo comandamento”: parlare dell’indicibile.

Il titolo di questo articolo vuole essere una traduzione di “Dove siamo adesso?” », canzone di David Bowie pubblicata nel 2013, dove il Duca Bianco (come lo chiamavano allora) esplorava il suo lato pre-postumo e immaginava se stesso come un fantasma: sarebbe morto tre anni dopo. In questa canzone, una sorta di Bowie dell’oltretomba vagava per la Berlino degli anni ’90 Eroi e “camminava tra i morti” con i ricordi. Poiché la star non è riuscita a morire subito dopo questo album (Il giorno successivo), ha dovuto ribadire il suo impegno Stella nera nel 2016, divenuto postumo due giorni dopo la sua uscita. Ma il vero successo è arrivato solo nel 2017 con l’EP Nessun piano, che contiene il singolo omonimo, cantato dal limbo: “Non c’è musica qui, / sono perso in un diluvio di suoni, / non sono da nessuna parte, qui? »

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In realtà, se Cielo pieno è ben raccontato dal cielo, i musicisti ivi citati da Cécile Wajsbrot sono più Rammstein o Blixa Bargeld (da Einstürzende Neubauten) che David Bowie. Finché è Berlino e fa freddo – visto che Berlino infesta il lavoro dell’autrice – tanto vale prendere gli originali piuttosto che la copia: ha ragione. Tuttavia, allo stesso tempo Cielo pieno, dello stesso editore appare una raccolta di testi qui pubblicati o ivi parlati: Il giorno dopo e altri saggi.

” Il giorno dopo ” (Il giorno successivo, avrebbe detto Bowie) fu letto al seminario Passa Porta a Bruxelles nel 2016. Era il giorno dopo gli attentati del Bataclan, avvenuti quattro mesi prima. Wajsbrot riferisce che gli è stato chiesto di parlare alla radio. Lei rifiuta. “Cosa possiamo dire? Non lo so. E cosa pensare? Che non è ancora il momento di pensare. Che c’è qualcosa da rispettare, una sospensione dell’uso delle parole, una sospensione dell’uso del pensiero. Per riflettere – ma non solo. Perché l’evento si sedimenti, prenda posto in noi, lasci il segno. »

In effetti, alcuni saggi di questa raccolta sollevano la questione di cosa può fare la letteratura “Apres coup” (titolo di un altro saggio, del 2008, preso in prestito da libro di Maurice Blanchot). Dopo gli attentati, i genocidi, “la distruzione degli ebrei d’Europa”, c’è, nota lo scrittore, questa doppia ingiunzione contraddittoria: “nessuna poesia dopo Auschwitz” se non quella della testimonianza e, allo stesso tempo, “il dovere di la memoria, la necessità di ritrovare il proprio posto nella catena della trasmissione” con quello che lei definisce un “undicesimo comandamento, ne parlerai”.

Cécile Wajsbrot è nata nel 1954. Suo nonno è stato assassinato ad Auschwitz nel 1942. Ma lei fa parte, come scrive, di questa generazione che “non conosceva le vie di un esilio pianificato nel tempo, né la fuga frenetica (…) né la la notte dei treni, del terrore, dei lager”. Allo stesso modo, ha scritto nell’articolo “Le ferite subite…” (2017), la maggior parte di noi non è stata vittima di un attentato, non sarà, non conosce o addirittura conoscerà alcuna vittima e tuttavia, “come nel caso di Ulisse, è non è il nostro sangue che scorre, sono le nostre lacrime”, ascoltando il racconto delle nostre ferite e della nostra lotta. Una storia (romanzo, canzone, ecc.) che ha il pregio di far sapere per un attimo a tutti “che appartengono allo stesso mondo”.

Tuttavia il comando di “parlarne” viene dato agli scrittori che hanno “percepito il muro invisibile [les] separandoli dagli altri, da coloro la cui famiglia non ha vissuto nulla o non molto” pur non avendo vissuto nulla in prima persona, li pone in una posizione che Wajsbrot descrive in “Dopo il fatto” utilizzando una metafora astronautica: “non eravamo da nessuna parte, persi nello spazio e il tempo come quei personaggi dei film di fantascienza che orbitano attorno a un pianeta lontano senza poter ritornare sulla Terra o arrivare su un altro pianeta perché prigionieri di un’attrazione eterna. Questo fluttuare così vicino e così lontano dalla catastrofe è anche la posizione più efficace per parlarne: un’indeterminazione incarnata. “Ciò che accade può passare solo attraverso ciò che scriviamo, a patto di non voler scrivere ciò che accade”, ha sintetizzato l’autore dopo il Bataclan.

È quindi in una sorta di assenza di gravità che la storia viene raccontata Cielo pieno. Dove siamo ? Chi sta parlando? “Il palco è vuoto come il cielo (…). Nessuno scenario a distrarci. » Avanziamo in una “forma invisibile”, in uno “spessore impalpabile”. Il più semplice forse sarebbe fare riferimento alla poesia “Plein ciel” di Victor Hugo che l’autore cita. Lui è dentro la leggenda dei secoli (1859), sezione “Novecento” e, in questa epopea umana dalle tenebre alla luce, celebra il viaggio aereo (tramite aerostato o anche tramite elicottero, macchina che cominciava ad essere nella pipeline degli ingegneri): “In lontananza di nubi, (…)/ Appare un punto vago e confuso; nel vento,/ Nello spazio, questo punto si muove; è vivo;/ Va, scende, risale; fa quello che vuole fare;/ Si avvicina, prende forma, viene; è una sfera”… Notiamo, per amor di buona bocca, che “Plein ciel” di Hugo segue la poesia “Pleine mer” e che Cécile Wajsbrot ha riunito il suo ciclo di cinque romanzi sulla creazione e la sua ricezione sotto il termine titolo Alto mare (Il suono del tempo, 2022).

La bellezza di Cielo pieno sta soprattutto nella leggerezza e nella libertà della sua forma stellare.

Si tratta quindi di un aereo in Cielo pieno, lo capiamo poco a poco. “Il volo Air France 406 Brazzaville-Parigi precipita in Libia nel deserto del Sahara”, si legge su Wikipedia, “dopo che il Lockheed Starliner si è rotto in due. Il disastro lasciò 78 vittime. » La scrittrice fa un uso intensivo di Internet e dei social network per la sua documentazione, a volte citandoli, a volte lasciando solo l’ombra dei suoi prestiti nel racconto. La voce narrante è un “corifeo”, vale a dire il leader del coro antico – sempre che il corifeo possa avere un genere. Basti dire: nessuno e tutti e, forse, con un po’ di fortuna, un momento “dove le contraddizioni si risolvono”. Questo corifeo parla in particolare al posto di una “donna senza età” e, in un certo senso, le risponde in un gioco di indeterminatezza: “Hai pensato alla domanda opposta?”, dico, supponendo che sia io a parlare attraverso la parole che dico. Hai pensato alla domanda opposta, avresti il ​​diritto di dimenticartela? »

Infatti, la “donna senza età” fu traumatizzata dalla scomparsa, quando aveva sei anni, nel 1961 (come l’autrice), di un’amica di famiglia, una hostess che lavorava sul volo fatale dell’Air France Brazzaville-Parigi a maggio 10. Questa “fata dei viaggi” gli mandava cartoline da luoghi lontani, raccontandogli meraviglie esotiche al suo ritorno. Cielo pieno sta portando avanti un’indagine polifonica e fragile su questo disastro aeronautico: perché sospettavamo che si trattasse di un attentato, destinato a uccidere un ministro centrafricano. Il 10 maggio 1961 ricorda però la data in cui il nonno di Cécile Wajsbrot fu convocato dalla polizia francese per essere mandato a morte, vent’anni prima: 14 maggio 1941.

Al di là dell’indagine, la bellezza dell’ Cielo pieno sta soprattutto nella leggerezza e nella libertà della sua forma stellare. Cécile Wajsbrot salpa da Nils Holgersson da Lagerlöf a Viaggio in Congo di Gide attraverso il saggio giornalistico di Kafka “Gli aeroplani a Brescia” (1909) o una poesia di Yeats, “Un aviatore irlandese predice la sua morte” (1918-1919): “Quelli che combatto, non odio,/ Coloro che Li proteggo, non li amo. Wajsbrot riesce perfino a reincantare La navigazione di San Brandano (XII secolo) con i suoi uccelli angeli caduti ritrovati a Farid al-Dîn Attar o Clément Jannequin. Ci sono molte canzoni, diverse opere di videoarte e anche scritti sulla Luna (Lucien, Fontenelle) oltre agli aerei: il decentramento richiede. C’è Günther Anders che annota, in Vista della Luna (1970), che siamo riusciti a vedere il nostro pianeta dall’esterno, “vale a dire, non come la nostra Terra, ma come un corpo celeste che non appartiene a nessuno, come un relitto fluttuante nell’universo. »

Per sfuggire a questo sguardo trascurante, coercitivo e, in definitiva, annientatore, dobbiamo senza dubbio adottare quello di Wajsbrot in Cielo pieno : fluttuante, ubiquo, disarmato, che è anche quello teorizzato dall’artista Hito Steyerl in diverse sue opere. Conosciamo il posto dell’arte contemporanea nelle storie di Wajsbrot. Qui l’incontro con la “donna senza età” avviene in una mostra monografica di Steyerl, “Sopravviverò”. Il corifeo si attacca In caduta libera (“In caduta libera”), una trilogia video del 2010: Dopo lo schianto, Prima dello schianto, Incidente (“Dopo la cotta”, “Prima della cotta”, “Crush”). Nessun vero disastro qui: il lavoro di Steyerl è piuttosto una riflessione su economia, finzione e bancarotta. Ma pagina 111 del Cielo pienoil corifeo comincia a leggere l’articolo die-flusso afferente, “In caduta libera: saggio sulla prospettiva verticale”, dove l’artista berlinese teorizza il punto di vista dominante, i suoi svantaggi (“significa una forte gerarchia di potere”, sintetizza Wajsbrot, la sorveglianza dei droni e Google Street View) ma anche il suo vantaggio unico: la possibilità della propria distruzione, una un po’ come la prospettiva classica, strumento di colonizzazione, portava in sé i semi della sua bancarotta.

Partendo dal presupposto che la prospettiva verticale contemporanea ha completato la distruzione della nostra fede nel fondamento e nelle fondamenta, Steyerl parla di una “prospettiva di caduta libera” infinita – che fa eco ai “prigionieri di un’eterna attrazione” di Wajsbrot. E in questa caduta libera, conclude il videoartista, “alle prese con futuri rovinati che ci riportano a un presente agonizzante, vediamo che il luogo verso cui stiamo precipitando non è più ancorato, né stabile. Non promette una comunità, ma un’entità in evoluzione. » È ovviamente questa mutazione politica che, nell’ordine del racconto, viene utilizzata Cielo pieno, con il suo coro che fin dall’inizio ci ha avvertito: “Ciascuno di noi è qualcuno ma insieme non siamo nessuno. » Non esercitarlo, tale sarebbe allora il potere della letteratura e dell’arte.

Cécile Wajsbrot, Cielo pieno E Dopodomani e altri saggi 2001-2023Il suono del tempo, marzo 2024.

Eric Loret

Critico, giornalista

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