“Lo scrittore è solo un parassita tollerato”

“Lo scrittore è solo un parassita tollerato”
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Stanchi di quel successo imprenditoriale a cui tutti dovremmo puntare? E se, come Christophe Claro (Claro, cosa), invece, ci crogiolassimo nel fallimento? L’autore, traduttore, poeta, direttore editoriale e ora saggista francese scrive un testo delizioso. Attraverso gli esempi di Kafka, Pessoa e Cocteau, mostra che anche i più grandi falliscono ancora e ancora -“ Meglio“, soprattutto, come sosteneva Beckett. Egli discerne lì il fallimento tecnico e i ripetuti tentativi dello scrittore, che divenne “ Il Cousteau delle sue fantasie“, del sentimento di fallimento che lo attraversa tra due testi.

Il libro parla del fallimento, ma ne mostra le virtù attraverso gli esempi di grandi autori. È un modo per rassicurare gli aspiranti scrittori, o anche per rassicurare te stesso?

Chiaro: Soprattutto non bisogna rassicurare gli aspiranti scrittori, sarebbero capaci di perseverare… Più seriamente, non si tratta tanto del fallimento di un viaggio – non possiamo dire che Kafka e gli altri abbiano fallito -, ma del sentimento di fallimento! che lavora sulla scrittura, la interroga, la stimola. Scrivere comunque non è rassicurante, per fortuna. È una pratica – un mestiere artigianale – che ci ricorda costantemente una certa incapacità di vedere la realtà. Facciamo affidamento sul linguaggio, e il linguaggio spesso ti manda oltre il limite. Devi divertirti nel prendere i colpi prima di darli.

Si dice che molte persone abbiano nel cassetto un manoscritto incompiuto. Pensi che potrebbe essere quella sensazione di fallimento di cui parli che impedisce loro di finirlo e di inviarlo a un editore?

Chiaro: Le ragioni dell’incompletezza di un testo sono molteplici. Spesso è il testo stesso che ti abbandona, non gli hai dato la giusta energia, hai ricevuto le vibrazioni sbagliate, non funziona. Oppure funziona, ma rimane senza vita. Non finire un testo non è un’ammissione di impotenza, ma una decisione ragionata che può permetterti di andare avanti. Ci sono sempre due aspetti della scrittura: l’atto di scrivere/l’atto di scrivere (finire) un libro. Non sempre queste due operazioni coincidono.

Nel libro parli innanzitutto di traduzione e spieghi che “il fallimento è il fondamento della traduzione”. Come traduttore, affronti monumenti noti per essere difficili da tradurre, come Gerusalemme di Alan Moore. Non c’è un po’ di masochismo in un’attività così restrittiva?

Chiaro: Al contrario. Tutti i traduttori te lo diranno: è quando resiste che è interessante. Se la traduzione fosse evidente, la noia sarebbe lì. Ciò che ci piace quando traduciamo è questa presenza perpetua dell’intraducibile, che ti riporta al centro della lingua. Difficoltà, vincoli, buchi neri, ecco ciò che risveglia nel traduttore lo scrittore che deve diventare, anche se solo per la durata di una traduzione. Questo non è un esercizio di trasparenza, ma una visita degli abissi.

Lei dice che “adducendo come pretesto un contesto sociale per giustificare una difficoltà nello scrivere non regge a lungo”. Dai più credito a chi, come Kafka, sostiene di avere troppa fantasia?

Chiaro: Penso che si possa scrivere qualunque siano le condizioni: basta leggere Chalamov o Charlotte Delbo. La questione è come sottrarre spazi intimi di scrittura alla realtà. Se Kafka non finisce i suoi testi, non è tanto perché in casa c’è rumore che lo disturba o perché ha poco tempo per sé, ma perché preferisce l’estasi dello scrivere all’ingratitudine di riscrivere e chiudere. È diffidente nei confronti del lavoro che gli sfugge. L’incompletezza è il suo unico modo per impedirgli di spargere la voce, anche se ama leggere in pubblico. Si rifiuta di essere responsabile per i suoi posteri e questo è ciò che lo rende unico. Può sempre fallire meglio.

Lei parla delle “oscene ingiunzioni al successo che saturano l’aria sociale che respiriamo”. Al contrario, evidenzi il fallimento. Si può parlare di atto politico?

Chiaro: La nozione di successo è una nozione inventata dal capitalismo per giustificare ogni tipo di schiacciamento. Si tratta infatti di una nozione vuota, che sembra contenere in sé la sua fine, e che quindi è mortale. Fallire significa imparare, ricominciare, divergere, divagare, sapere come andare avanti. Un libro non è “riuscito”: va verso il mondo dei lettori come un lastrone di ghiaccio che cambierà continuamente forma. Ci sfugge, e quindi sfugge a questa idiozia che è la nozione di successo.

Pensi che questo spieghi anche la mancanza di considerazione per lo status di artista, per il quale gli artisti di fatto si battono?

Chiaro: Gli scrittori sono semplicemente visti come persone che amano il proprio lavoro e quindi non lo fanno per soldi. Perciò sono gelosi. Fanno un lavoro che amano, a differenza di due terzi delle persone, e noi glielo facciamo pagare pagandoli il meno possibile, in generale. Il fatto che supportino migliaia di persone – redattori, correttori di bozze, tipografi, ecc. – è completamente cancellato. Hanno diritto al 10%, nella migliore delle ipotesi, mentre senza di loro l’intero settore culturale crollerebbe. E poiché scrivere non è un lavoro quantificabile in termini di tempo, vengono pagati cifre ridicole, rispetto alle quali il salario minimo è una fortuna. Ma questa situazione è insolubile, perché la qualità letteraria non ha nulla a che fare con il successo commerciale. Lo scrittore è meno di un proletario, è solo un parassita tollerato, a meno che la sua opera non abbia successo. Altrimenti non ha valore di mercato. Ma può essere lodato, lodato: non costa nulla.

CLARO
1962 Nascita a Parigi
1986 Primo romanzo,Ezzelinapubblicato da Arléa
1990 Prima traduzione, Chilometro zerodi Thomas Sanchez, pubblicato da Seuil
2004 Diventa membro del collettivo Inculte, che fonderà le edizioni dello stesso numeroM
2024 Pubblicare Fallimento. Come fallire meglio, pubblicato da Autres

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