Le testimonianze si moltiplicano. Con l’avvicinarsi del millesimo giorno di guerra, i soldati ucraini sono esausti. Assaliti, circondati, bombardati, hanno smesso da tempo di credere nella controffensiva che avrebbe restituito i territori controllati dalla Russia al potere di Kiew. Mancanza di armi e munizioni? Forse. Non solo. Lo dice al giornale il giornalista Stanislav Asseyev, ex soldato, ex prigioniero dei russi, ferito due volte nel Donbass Il mondo: “Non c’è quasi più alcuna motivazione. C’è una grave crisi nella fanteria a causa della mancanza di personale, addestramento e comunicazione tra le unità. Questo è un problema interno dell’Ucraina che nessun paese occidentale può risolvere. Possiamo avere tutti i droni e le munizioni che vogliamo, se non ci sono soldati nelle trincee non cambierà nulla”. E aggiunge: “Abbiamo un enorme esercito di disertori che vaga per il Paese”. C’è anche chi nasconde in tasca falsi certificati di invalidità, ottenuti con favori dall’alto o con migliaia di dollari. Il problema è riconosciuto anche dal presidente Zelenskyj che ha appena destituito il procuratore generale ucraino Andriï Kostin. Quest’ultimo ha dovuto dimettersi dopo che un’indagine aveva rivelato un sistema di corruzione che avrebbe permesso ai funzionari della sua amministrazione di evitare l’arruolamento nell’esercito. Un caso tra tanti altri, sospettati, portati alla luce o ignorati. I miliziani governativi vagano per le città, fino a Lviv, cuore del nazionalismo, per stanare gli uomini sopra i 25 anni che si nascondono. Controllati, rozzamente imbarcati, vengono inviati per un breve addestramento poi al fronte.
In nessuna guerra moderna, in nessun campo, si sono verificate così tante diserzioni. Né nel 14-18, né nel 39-45. Qualche centinaio è vero durante la guerra d’Algeria, pochissimi. La questione non è giudicare coloro che rifiutano la chiamata e la lotta. Si tratta di mettere in discussione le loro ragioni.
In Ucraina è l’assenza di prospettive, i difetti e le contraddizioni dei comandi, la vana avventura dell’incursione in Russia, così costosa in vite umane, il disgusto per la corruzione. E per alcuni, probabilmente una minoranza, questioni fondamentali finiscono per emergere. Non sarebbe stato meglio concludere un accordo nei primi giorni come si è tentato? Era ragionevole, a partire dal 2014, combattere con le armi gli autonomisti poi diventati separatisti nel Donbass? Perché gli europei non hanno esercitato maggiori pressioni affinché gli accordi di Minsk fossero rispettati? Perché non dimentichiamolo, ciò che ne risultò fu la base della spirale infernale.
Anche da parte russa c’è la stanchezza bellica. Ma ha meno conseguenze perché non è stata decretata la mobilitazione generale. Le truppe vengono rinnovate attraverso impegni volontari ben retribuiti e l’aggiunta di mercenari stranieri. Forse da un continente nordcoreano che fa molto rumore. Vecchia ricetta… Durante la guerra in Iraq nel 2003, in Afghanistan, gli americani hanno fatto ricorso anche a molto sostegno militare esterno.
Nell’altro conflitto attuale che ci fa orrore, in Medio Oriente, cosa sta succedendo? Sebbene il fenomeno non sia riconosciuto dalle alte sfere e sia poco affrontato dai media, il fatto è che i soldati israeliani impegnati a Gaza, in Libano e in Cisgiordania cominciano, molti di loro, a provare stanchezza e preoccupazione. I guerriglieri tra le rovine di Gaza continuano a causare morti tra le loro file. L’incursione in Libano si sta rivelando più difficile del previsto nonostante i colpi inferti a Hezbollah, più costosi in vite umane di quanto annunciato ufficialmente. Certamente la schiacciante superiorità tecnologica e il controllo aereo totale permettono all’IDF di radere al suolo il sud del Paese, di sferrare colpi ovunque, ma nessuna guerra si vince senza il controllo fisico del territorio, senza che il vincitore si senta sicuro nelle città e nei villaggi conquistati. Ne siamo lontani se conosciamo la capacità di resistenza dei libanesi che hanno visto tanto… Anche se questa invasione è ancora più distruttiva dell’ultima, nel 2006. Nessun motivo di euforia per lo stato maggiore israeliano.
Notiamo anche che alcuni di questi soldati, insieme ad altre voci, affermano apertamente, sulle piattaforme e sulle reti, che non vogliono più queste terribili guerre nel vicinato di Israele. Pochi senza dubbio, ma non senza eco in parte dell’opinione pubblica. Grazie a uno spazio di libertà di espressione che, è notevole, persiste nonostante tutto. Centoventi riservisti che hanno combattuto hanno appena pubblicato una lettera in cui annunciano che non si arruoleranno più nell’esercito. Uno di loro, Max Kresch, lo ha dichiarato Mondo: “Questa non è una guerra esistenziale ma pura vendetta”. Altri giovani, non ancora arruolati, lasciano a migliaia il Paese con le loro famiglie. Perché, come in Ucraina, non vedono prospettive di pace e vogliono sfuggire a un destino segnato dalla sventura.
Conclusione? Le potenze trascinate dalla passione guerriera possono elaborare sui loro tavoli, ben riparate, tutti i piani possibili, possono preferire per lungo tempo la speranza di una vittoria militare a quella delle trattative, ma arriva il momento, prima o poi, in cui gli uomini destinati perché il peggio non rientra più nelle loro visioni.