Netflix produce un sacco di schifezze, ma per una volta colpisce duro Primordiale americano: All’alba dell’Americauna miniserie che rivisita il mito del West americano con una brutalità e un realismo raramente raggiunti. Su uno sfondo di violenza onnipresente e paesaggi sublimi, questo western contemporaneo esplora la nascita caotica dell’America e le tensioni che l’hanno plasmata.
Un affascinante affresco storico
Nell’America del 1857, l’utopia del sogno americano lascia il posto alla lotta per la sopravvivenza. La serie, creata da Mark L. Smith, lo sceneggiatore di Il Revenantci immerge in un mondo dove pionieri, indigeni e mormoni competono per dominare territori selvaggi e inospitali. In sei episodi avvincenti, mescola finzione e fatti storici per dipingere un ritratto sfumato e spietato di quest’epoca.
La serie si concentra su eventi come la guerra dello Utah e il massacro di Mountain Meadows, presentando personaggi immaginari profondamente umani e complessi. Al centro della storia, Isaac (Taylor Kitsch), un burbero cowboy, accompagna Sara Rowell (Betty Gilpin) e suo figlio in un viaggio pericoloso. La loro traiettoria si interseca con quella di cacciatori di pellicce, nativi e mormoni, e ogni incontro rivela un lato oscuro dell’America emergente.
Realismo senza compromessi
Primordiale americano si distingue per il suo desiderio di autenticità. Le ambientazioni naturali sono riprese magnificamente, catturando sia la maestosità che l’ostilità dell’Occidente. La rappresentazione delle tribù indigene, realizzata in collaborazione con consulenti culturali, rafforza la credibilità dell’opera. Le lingue indigene, la ricostituzione di costumi e rituali dimostrano un notevole rispetto per la storia e le culture dimenticate.
Ma questo realismo non si ferma qui: la serie non cerca di annacquare la violenza. Ci ricorda che l’America è stata costruita con sangue e lacrime, un messaggio rafforzato da scene di combattimento di rara intensità e da un’estetica cruda che evoca Il Revenant. Questo realismo brutale è, tuttavia, controbilanciato da una messa in scena impeccabile e da una colonna sonora coinvolgente.
La serie non si preoccupa del manicheismo. Non ci sono buoni cowboy o cattivi stereotipati qui. Tutti i protagonisti, siano essi pionieri, cacciatori di taglie o mormoni, sono presentati nelle loro sfumature: coraggio, codardia, crudeltà e ricerca di redenzione si intrecciano per offrire ritratti suggestivi.
Questa violenza onnipresente non è solo scioccante; ti incoraggia a pensare. Conflitti religiosi, colonizzazione, lotte per la sopravvivenza: tanti temi che risuonano ancora oggi. Lungi dall’essere gratuita, questa brutalità risponde allo scopo della serie, che mette in discussione la natura umana e le fondamenta di una nazione.
Una rinascita per il western
In un genere che pensavamo superato, ma che sta tornando da diversi anni con gioielli come YellowStone, o anche Horizon, Primordiale americano porta una gradita freschezza. Dove le produzioni piacciono Yellowstone erano basate su intrighi moderni, questa serie ritorna all’essenza del western: un’esplorazione dei margini, uno sguardo spietato sulla società e una riflessione sulle tensioni che la guidano.
Rispetto a Shogunche ha ridefinito i film sui samurai, Primordiale americano offre un approccio simile per il western. Il suo successo potrebbe spingere Netflix a ordinare una seconda stagione, che si tratti di un sequel diretto o di un’antologia che esplori altri aspetti di quest’epoca. Insomma, Primordiale americano: All’alba dell’America è un’opera potente che delizierà gli amanti delle storie storiche e gli appassionati di western. Con il suo casting impeccabile, la sua produzione coinvolgente e il suo sorprendente realismo, la serie si è affermata come un riferimento nel genere.
Credito fotografico: DR
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