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Critica
Saggio di Arnaud Desplechin, con Dominique Païni, Françoise Lebrun, Milo Machado-Graner, Mathieu Amalric, Salif Cissé (Francia, 1h28). Nelle sale dal 15 gennaio ★★★★☆
Per andare oltre
Arnaud Desplechin ammise un giorno, per scherzo, di aver girato “La vita dei morti” per parlare male della sua famiglia, “La Sentinelle” per parlare male del suo paese, “Come litigavo… (la mia vita sessuale)” per dire cose brutte sulle sue ex fidanzate. Con questo brillante saggio, un romanzo di formazione fedele alla sua opera per il quale fornisce la voce fuori campo con Paul Dédalus, il suo sosia immaginario (interpretato qui successivamente da Milo Machado-Graner, Sam Chemoul, Salif Cissé, poi Mathieu Amalric ), questo virtuoso della confessione mascherata lascia cadere la maschera, firma un atto di fede nel cinema e racconta la metamorfosi dello spettatore da spettatore a regista. Desplechin convoca per primo Edison e i fratelli Lumière, cerca tracce di cinema tra le tele di una mostra di pittura, riflette sulla vertiginosa frase dello scrittore americano Stanley Cavell: “La realtà sarà proiettata, il mondo ricreato. »
Interroga gli spettatori oltre a se stesso sulle loro esperienze, racconta ricordi (una nonna interpretata da Françoise Lebrun, la presentazione umoristica in un cineforum liceale di “Le Piccole Margherite”, di Vera Chytilova) e, senza il minimo elitarismo, giustappone una cinquantina di film estratti, dal momento in cui li abbiamo “incontrati”: “Amore a prima vista a Notting Hill” (e il seno di Julia Roberts che solo Hugh Grant vedrà sollevando un lenzuolo) ha almeno la stessa nobiltà dell’attrice nativa americana Misty Upham o Bergman, che gli fece mentire sulla sua età per poter entrare nella stanza dove si svolgeva lo spettacolo stava avendo luogo. “Cris and Whispers” (aveva 14 anni).
Il testo è bellissimo – “I film, crede Desplechinnon ha mai smesso di accogliere i vinti” –, il montaggio, agile, e il cappio si stringe su un cineasta essenziale, Claude Lanzmann, autore di “Shoah.” Questa somma segnò la sua vita, gli tolse le parole e, nonostante il sentimento schiacciante, lo rese spettatore… Trentasette anni dopo aver visto il film, Desplechin si recò a Tel Aviv per ringraziare la filosofa Shoshana Felman, autrice di un articolo sulla messa in scena della “Shoah”, anche lui un “contrabbandiere” che, come Scorsese o Truffaut, lo ha autorizzato.