Recensione: “Furiosa” senza Max, ma al massimo

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Furiosa (Anya Taylor-Joy) in cerca di vendetta.

Warner Bros. Entertainment Svizzera GmbH

Erano passati molti anni per il grande ritorno del regista George Miller nell’universo che lo aveva reso celebre, quello di “Mad Max” con un “Fury Road” che dimostrava facilmente che l’australiano non aveva perso la mano. Erano però trascorsi trent’anni tra l’opera (e purtroppo non la migliore) con Mel Gibson (1985) e quella (2015) con Tom Hardy nel ruolo del protagonista. E, soprattutto, con Charlize Théron nel ruolo di Furiosa, personaggio di cui George Miller propone ora un prequel.

Furiosa, infatti, la bellezza ha guadagnato terreno. Miller dedica un intero film alle sue origini, senza Max, ma radicalmente nell’ambiente post-apocalittico costruito in “Fury Road”. Lì troviamo la Cittadella di Immortan Joe, Petroville e il Ball Mill, i tre centri interdipendenti attorno ai quali ruota tutta la vita barbaro-economica.

Scopriamo anche, brevemente, la famosa Terra Verde, prima che diventi la distesa morta e fangosa di “Fury Road”. Da qui proviene Furiosa (a cui Anya Taylor-Joy conferisce i suoi tratti giovanili). È da lì che, da bambina, viene rapita dal contorto Dementus (Chris Hemsworth, bravissimo) ed è grazie ai suoi molteplici talenti che il taciturno integrerà il regno di Immortan Joe (Lachy Hulme) e architetterà la sua terribile vendetta.

Il programma è dato. Vale quello che vale, e Miller mantiene il suo desiderio di guidare Furiosa esattamente all’inizio di “Fury Road”. Gli ci vorranno quasi 2 ore e 30 minuti. Un obiettivo che Re Giorgio saprà realizzare ancora una volta con maestria.

È tornato il camion blindato destinato a garantire gli scambi tra Citdelle, Petroville e Ball Mill.

È tornato il camion blindato destinato a garantire gli scambi tra Citdelle, Petroville e Ball Mill.

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Rimaniamo stupiti dalla messa in scena di Miller, dall’eleganza dei movimenti di macchina, dalla sua arte di passare dall’inquadratura generale al primo piano, dalla bellezza delle inquadrature, dal loro virtuosismo, dal loro equilibrio. Anche dalla leggibilità del suo editing. Ammiriamo ancora di più il fatto che tutto sembra scorrere in modo naturale, che il regista, a quanto pare, deve solo chinarsi per scegliere il meglio, senza esitazione.

Lo stile di Miller è unico. È nato con “Mad Max” (1979), è esploso con “Mad Max 2, la sfida” (1981), non ha perso un grammo di efficacia in “Furiosa: A Mad Max Saga” (2024). Ciascuno dei suoi film d’azione, ad eccezione del malaticcio “Mad Max: Beyond Thunderdome” (1985), insegna una lezione a qualsiasi genio, autoproclamato o meno. E sono innumerevoli gli imitatori che hanno tentato di copiare la formula sguazzando senza speranza di riscatto.

Chris Hemsworth praticamente irriconoscibile come Dementus.

Chris Hemsworth praticamente irriconoscibile come Dementus.

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In “Furiosa” c’è ovviamente un momento di coraggio. Una lunga sequenza dove tutto sembra combaciare alla perfezione. È lì, è grande, vale il viaggio da solo. Ma senza schiacciare il resto; È esasperante.

Avremmo sicuramente preferito che “Furiosa” fosse un seguito di “Fury Road” e non un episodio che lo precedesse. I prequel infatti tendono a risucchiarci seriamente l’aria (una questione di gusti personali). Non importa, cavilliamo. È come fingere di odiare “Fury Road” perché è un film che va dal punto A al punto B e poi torna simmetricamente al punto A. Ciò però non ci impedisce di apprezzare “Furious Route” e, senza dubbio, molto più di quanto meriti.

Perché quello che ci piace di Miller è la forma, nient’altro che la forma, tutta la forma. Peccato se, sostanzialmente, in termini di disposizione ed evoluzione dell’universo, il ragazzo resta in pantofole.

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