“Non sono sicuro che avrei realizzato quest’opera oggi, visto il carico che porta”, rivela Zad Moultaka, alla vigilia dell’apertura al pubblico parigino della sua installazione sonora e visiva, ŠAMAŠ, progettata nel 2017 per rappresentare Padiglione libanese alla 57a Biennale d’Arte di Venezia.
Dopo il viaggio a Beirut e Helsinki, “ŠAMAŠ, gridando pace” fa tappa all’Istituto del Mondo Arabo, fino al 6 aprile 2025.
Il pubblico è invitato ad entrare in un tempio, immerso nel buio più totale. A poco a poco si accendono le luci e al centro della stanza appare un’ogiva, come un obelisco. Si tratta infatti del motore di un bombardiere, alto più di sei metri. Sulla parete di fondo, come una pianta archeologica vista dal cielo di una città distrutta, compaiono 150.000 monete libanesi, la reincarnazione del vitello d’oro, perché guerra fa sempre rima con denaro.
Organizzato in tre parti, questo pezzo di quasi 12 minuti unisce innovazioni sonore ed esperienze visive, e si ripete, all’infinito, come un palindromo, qualcosa che inizia, finisce, ricomincia ancora e ancora.
Dopo Beirut e Helsinki, “ŠAMAŠ, gridando alla pace” fa tappa all’Istituto del Mondo Arabo di Parigi. Copyright IMA/Alice Sidoli
La genesi di un’opera è un processo “sempre molto misterioso”, considera Zad Moultaka, che tuttavia cerca di spiegare il processo, “con piccoli frammenti di memoria”. Tutto è iniziato con una frase del medico, storico dell’arte e saggista Élie Faure, secondo cui ogni civiltà porta dentro di sé il germe della sua distruzione, spiega il compositore e artista visivo franco-libanese. Allo stesso tempo, ha avuto un incontro fisico con il codice di Hammurabi, considerato il primo codice di leggi, inciso su un’alta stele di basalto nero quasi 4.000 anni fa in Mesopotamia, ed esposto al museo del Louvre. La sua forma ricorda quella del bomber. Quello dell’elica nella parte superiore del motore fa eco al sole inciso sulla sommità della stele di Hammurabi, che rappresenta il dio Shamash, il dio della giustizia. “Le cose cominciavano davvero a connettersi tra loro”, spiega Zad Moultaka, che ha poi riflettuto su questa installazione, originariamente concepita come solo visiva. Ma l’artista è soprattutto e soprattutto un compositore.
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Poi prende il suono del bombardiere che passa, molto velocemente (12 secondi), e lo allunga a 10 minuti. “Filtrando il suono, quando guardiamo le note alte di questo suono, allungate, rallentate, sentiamo un coro, come lamenti, come lacrime. E mi piace questa idea, come se la violenza di questo motore portasse dentro di sé le tracce delle persone che sono state violentate”, spiega Zad Moultaka.
I 32 cantanti del coro dell’Università Antonine, sotto la direzione di Toufic Maatouk, cantano una sorta di lamento, una sorta di canto, un incantesimo, una preghiera, registrato con l’IRCAM (Istituto di ricerca e coordinamento acustico/musicale in Francia). ndr) e trasmessi attraverso gli altoparlanti, un po’ come i fantasmi.
La prima parte dell’opera si conclude con la distruzione violenta e terribile, in particolare quella del linguaggio, che tenta di ricostruirsi, con brandelli di parole, parole covate, prese in prestito dal sumerico, “come se una bomba fosse caduta nella lingua, e avesse l’hanno disperso, sbriciolato”, spiega il compositore.
“I carnefici di ieri sono le vittime di oggi, e le vittime di oggi saranno i carnefici di domani”
Un’installazione artistica, poetica e politica che attraversa la storia della civiltà orientale e proclama un urgente appello alla pace nel mondo di oggi. Copyright IMA/Alice Sidoli
Infine, il lavoro si conclude con la lettura di un testo, in arabo, che parla di violenza, ma che allo stesso tempo porta un messaggio di pace, dice una bambina. Incredibilmente attuale, è infatti un lamento sulla distruzione della città di Ur, che risale a 4.000 anni fa.
“Vorrei che questa installazione funzionasse come uno spazio catartico”, spera Zad Moultaka. Quando l’ho creato nel 2017, il Libano non era in guerra come oggi. Volevo fare qualcosa che parlasse della violenza qualunque essa sia, perché i carnefici di ieri sono le vittime di oggi, e le vittime di oggi saranno i carnefici di domani. Quindi quest’opera si colloca realmente in quel luogo, non è per il Libano, non prende posizione, l’unica posizione che prende è contro la violenza qualunque essa sia. »
Nella memoria
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Se l’installazione di Zad Moultaka ha potuto essere montata – in meno di un mese – negli spazi dell’IMA (occupa 280 metri quadrati), è a causa della situazione in Libano. Il 26 novembre avrebbe aperto i battenti una mostra dedicata a Byblos, città millenaria del Libano. Ma l’IMA e i suoi partner hanno deciso di annullare l’evento a metà ottobre, di fronte all’entità dei bombardamenti israeliani nel paese dei cedri dalla fine di settembre e all’impossibilità di preparare e trasportare le 400 opere libanesi a Parigi. Élodie Bouffard, responsabile delle mostre dell’IMA, ripensa poi all’installazione di Zad Moultaka che ha potuto vedere al museo Sursock, a Beirut, nel 2018. “Quest’opera, che ha avuto un grande impatto su di me, è tornata in modo inquietante negli ultimi mesi, spiega. Risuonava terribilmente vero, interrogando tutti sul significato di questo disastro. Dato il contesto in Libano, volevamo presentare questo lavoro al nostro pubblico. »
L’installazione è stata quindi installata in tempi record, grazie ad un “lavoro orafo d’alta moda” che ha realizzato tutti gli aggiustamenti sonori e visivi.
La mostra dedicata a Byblos è stata rinviata a marzo 2026.
“Non sono sicuro che avrei realizzato quest’opera oggi, visto il carico che porta”, rivela Zad Moultaka, alla vigilia dell’apertura al pubblico parigino della sua installazione sonora e visiva, ŠAMAŠ, progettata nel 2017 per rappresentare Padiglione libanese alla 57a Biennale d’Arte di Venezia Dopo i viaggi a Beirut e Helsinki, “ŠAMAŠ, gridando…
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