Mustapha Hafid, una vita al lavoro

Mustapha Hafid, una vita al lavoro
Mustapha Hafid, una vita al lavoro
-

Fin dall’inizio della sua carriera, Mustapha Hafid si è affermato come un intrepido esploratore del colore. Traendo ispirazione dal lavoro di Paul Klee, Wassily Kandinsky, Henri Matisse, André Derain, Artur Nacht-Samborski, Michał Bylina e Józef Pakulski, ha utilizzato il colore come un linguaggio a sé stante, capace di esprimere trascendere le chiacchiere per esprimere emozioni, idee e mondi interiori. Non sorprende che abbia abbandonato molto presto la figurazione per addentrarsi in rappresentazioni più astratte, dove il colore ha l’ultima parola. In tonalità a volte scure, a volte ardite, ma anche in forme fluide e armoniose nel loro intreccio, rivela, dalla storia del Marocco, le sfumature delle sue epoche e rivela, in sé, una ricerca di significato insoddisfatta.

Astrarre

Il lavoro di Mustapha Hafid nasce assorbendo epoche e tendenze artistiche. I pochi dipinti figurativi esposti, realizzati dopo aver lasciato la Scuola di Belle di Casablanca e successivamente quella di Varsavia, testimoniano una maestria accademica acquisita durante una rigorosa formazione. All’inizio degli anni Sessanta, a Varsavia, si immerge nell’Unismo, movimento che lo spinge ad abbandonare rapidamente la figurazione sotto l’influenza delle avanguardie polacche, in particolare delle teorie di Władysław Strzemiński. È così che Hafid sviluppa un linguaggio astratto, dove la composizione geometrica è al servizio della soggettività artistica e dell’impulso liberatorio della creazione del tempo.

Tornato in Marocco, si unisce al gruppo di attivisti Casa, per servire l’arte marocchina. Adottò quindi un approccio espressionista, caratterizzato da una tavolozza di colori vivaci e da un’energia drammatica. Il periodo fauvista di Hafid si distingue per un’esplosione di colori puri, come il blu oltremare e il rosso vermiglio, cari a Matisse. Alla fine, Hafid integrò il modernismo, in cui combinò le influenze europee con le sue radici culturali marocchine, servendo un linguaggio che era allo stesso tempo unico e universale.

La tavolozza del Marocco

Come molti artisti del periodo post-indipendenza, Mustapha Hafid si è impegnato a decolonizzare l’arte marocchina. Nel suo approccio, trascendere le influenze europee doveva servire ad affermare un’identità artistica profondamente locale, ma eminentemente universale. Questa “maroccanizzazione” dell’arte coinvolge innanzitutto il resoconto visivo e artistico dei grandi sconvolgimenti storici e politici del Marocco. È così che negli anni ’80, la sua tavolozza di scurimento e di nero ricopriva tutti i suoi dipinti, in una maturità notevole attualmente accessibile sulle pareti di La Galerie 38. Fu durante questo stesso periodo, particolarmente travagliato per il paese, che giocò un ruolo ruolo chiave come direttore dell’École supérieure des beaux-arts de Casablanca, dove ha avviato riforme significative per rinnovare l’educazione artistica.

Molto tempo dopo e fino ad oggi, Hafid continua a rappresentare la ricchezza marocchina con composizioni audaci e esperimenti cromatici in linea con le tendenze artistiche internazionali. Il suo lavoro, se ancora dovesse essere descritto, funge da supporto per la storia dell’arte in Marocco e da riferimento per i giovani in cerca di ispirazione e visione per il futuro.

-

NEXT “Mi piace questa sobrietà bretone, che è una forma di cortesia”: confida Olivier de Kersauson in occasione dell’uscita del suo nuovo libro