La morte dello scrittore albanese Ismaïl Kadaré, da leggere per sfuggire all’amnesia

La morte dello scrittore albanese Ismaïl Kadaré, da leggere per sfuggire all’amnesia
La morte dello scrittore albanese Ismaïl Kadaré, da leggere per sfuggire all’amnesia
-

Lasciamo per un momento il rumore e la furia delle notizie per rendere omaggio a un grande scrittore: Ismaïl Kadaré, morto ieri a Tirana, la capitale albanese, all’età di 88 anni. Kadaré era fuggito dalla dittatura comunista del suo paese nel 1990 e si era stabilito a Parigi: lo si poteva vedere la mattina in un caffè vicino ai Giardini del Lussemburgo, perché era lì che gli piaceva scrivere.

La Francia gli aveva offerto asilo politico; soprattutto, lo aveva aiutato durante il suo viaggio di scrittore in un universo totalitario. È una storia eccezionale, poco conosciuta o dimenticata, che dà pieno senso ai valori di libertà e solidarietà di cui talvolta ci vantiamo a poco prezzo.

Ismaïl Kadaré aveva stabilito un rapporto di amicizia e fiducia con un importante editore francese, Claude Durand, capo di Fayard, attraverso il suo traduttore, Yusuf Vrioni, ex prigioniero del gulag albanese.

Claude Durand ha corso enormi rischi per far emergere i manoscritti dello scrittore. Li depositò in una cassaforte in una banca parigina, con l’ordine di pubblicarli solo se fosse successo qualcosa al loro autore, o se fosse morto perché pensava che il regime comunista gli sarebbe sopravvissuto. Alla fine, il regime morì per primo e i capolavori uscirono dalle cripte.

Dobbiamo ricordare cos’era il regime albanese, Nicolas. Enver Hoxha, il suo leader, ha imposto una delle peggiori dittature europee del dopoguerra. Ma era anche ferocemente nazionalista e ruppe con tutti coloro che volevano imporgli la loro tutela, gli jugoslavi di Tito, i sovietici e poi la Cina.

Prima giornalista, poi scrittore, un tempo studente alla prestigiosa Università Gorkij di Mosca, Kadaré è stato uno dei grandi nomi di questo Paese povero e chiuso. Ha navigato tra censura e tolleranza, un tempo protetto dal suo prestigio di scrittore.

A volte doveva comporre: quando scrisse “L’inverno della grande solitudine”, il racconto shakespeariano della rottura tra Enver Hoxha e Nikita Khrushchev, a Mosca, nel 1962, disse che gli albanesi speravano che il loro Paese si avvicinasse l’ovest. Il regime lo ha costretto a riscrivere 100 pagine per cancellare questa idea e sostituirla con la fiducia del popolo nel loro grande leader.

Cosa resta oggi di Kadaré? Esiste certamente una lezione universale sulla vita sotto il dominio totalitario. Anche quando è sceso a compromessi con il regime, e per questo sarà criticato, Ismail Kadaré ha descritto minuziosamente la vita quotidiana e le relazioni sociali e intellettuali sotto la dittatura. Le sue storie compaiono accanto a quelle lasciateci dai grandi autori dei regimi comunisti o fascisti del XX secolo, memoria irrinunciabile.

Questo ricordo, ahimè, finisce per sbiadire e offuscarsi. È il caso dell’Albania, dove non ha il posto che merita, in un Paese che proprio cerca di dimenticare questa dolorosa pagina di storia. Bisogna recarsi nella sua città natale, Argirocastro, per visitare la sua casa, diventata museo, e riscoprire l’atmosfera della sua “cronaca della città di pietra”, il racconto della sua infanzia. Argirocastro che è anche il luogo di nascita di Enver Hoxha.

Dobbiamo leggere e rileggere Kadaré e tanti altri giganti della letteratura per sfuggire a uno dei mali del nostro tempo: l’amnesia che ci minaccia.

-

PREV sei anni di carcere, di cui quattro chiusi, richiesti al rapper per violenza e sequestro di persona
NEXT i detentori dei diritti del gioco televisivo “Numbers and Letters” non vogliono C8