Morte di una leggenda –
Quincy Jones in otto album essenziali
Morto a 91 anni, il piccoletto di Chicago divenne il grande artefice della Musica del secolo. Omaggio.
Pubblicato oggi alle 14:09
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- Quincy Jones è morto a 91 anni, lasciando un’immensa eredità musicale.
- Le sue collaborazioni includono album iconici come “Thriller” con Michael Jackson.
- Ha influenzato molti generi, dal jazz al pop all’hip-hop.
Se c’è stato un Grande Architetto della musica in Occidente, per oltre sessant’anni, quello non poteva che essere Lui: Quincy Delight Jones, nato durante la Grande Depressione a Chicago e morì a 91 anni a Los Angeles lo scorso fine settimana. Un genio, soprannominato tale dalla maestra di musica Nadia Boulanger, che disse di averne conosciuti due (l’altro era Stravinskij). Soprattutto, Quincy aveva cuore e orecchie. Questa era la musica del secolo, in otto album leggendari.
Il più jazz: “Quintessenza”, 1961
L’uomo non ha ancora 30 anni, e si è districato dalle tragedie del South Side di Chicago, sul punto di fare di lui un gangster, per trovare una famiglia nel jazz: la tromba, un po’, ma soprattutto l’arrangiamento , produzione, composizione, regia. Alla fine degli anni Cinquanta il suo primo progetto con una big band non funzionò e lo portò sull’orlo del suicidio. Lui risponde con “Quintessence”, con un cast strepitoso (Phil Woods, Clark Terry, Oliver Nelson, Thad Jones…). Un’uscita dall’alto, un disco senza peso, morbido e moderno, swing e misterioso, una delle vette della storia delle big band. Non è invecchiato neanche un po’.
Il più delizioso: “Big Band Bossa Nova”, 1962
Sei mesi dopo, lo facciamo di nuovo con la versione in rame della musica brasiliana. Un capolavoro al confine del pop, della dance, tra i mondi, per tutti. Metti questo album a casa stasera, questa cosa vintage, questa forza, questo calore, questo virtuosismo degli arrangiamenti: ubriacarsi a Rio, e basta, con Jim Hall o Paul Gonsalves, Lalo Schifrin o Roland Kirk. E poi c’è “Soul Bossa Nova”, campionata da tutti i rapper della terra: eterna.
La più bella: “Sinatra at the Sands”, 1966
Ci vorrebbe una vita per raccontare questo disco. È il più grande di tutti i tempi perché dice la Santissima Trinità: Sinatra è al top, l’orchestra di Count Basie è al top, Quincy Jones arrangia e dirige l’evento nelle sue serate gin a Las Vegas. Sono lì, liberi come sempre, sicuramente ubriachi, hanno il mondo e le donne ai loro piedi, e si crea un equilibrio da Cappella Sistina, miracoloso, selvaggio, animale, sontuoso: “Fly Me to the Moon”, Frank, Count e Q , visto che così lo chiamano ormai Sinatra e il mondo: ecco il G3 della storia della musica.
Le plus pop: «Mellow Madness», 1975
Nel corso degli anni Settanta Q si orienta verso il pop, con dischi “crossover”, come lo chiamavano allora, che lo fanno odiare da alcuni puristi, ma rispecchiano il suo sicuro gusto per la musica del momento. Ha mille progetti contemporaneamente, una vita privata altrettanto turbolenta (5 mogli, 7 figli), che si conclude nel 1974 con la rottura di un aneurisma: i medici prevedono che abbia una possibilità su cento di farcela. “Mellow Madness” è il disco della sua resurrezione, non per niente ha la testa in copertina. In programma: i funky Brothers Johnson, e soprattutto i Watts Prophets, pionieri poetici dell’hip-hop: Q vede lontano.
Best-seller: “Thriller”, 1982
Michael Jackson dovette imporre a Quincy Jones, considerato “troppo jazz”, di produrre “Off the Wall” tre anni prima. Grande successo e il duo si riforma per il progetto “Thriller”. Il disco vendette 32 milioni di copie in un anno, fu l’album più venduto di tutti i tempi. “Thriller”, “Bille Jean”, “Beat It”, “Human Nature”, r’n’b ondeggiante, roba jazz e ottoni trascesa dai sintetizzatori o dalla chitarra hard rock di Eddie Van Halen, ecc. Tutto questo lascia senza parole e sudato: Q e MJ non hanno fatto scalpore, hanno ridefinito il pop globale per 50 anni. Perché sì, ancora una volta: tutto questo non è invecchiato neanche un po’.
Il più sinfonico: “The Color Purple”, 1989
Non dimenticare mai l’armonia, la melodia, il contrappunto: la sua arte classica, elegante, ma ispirata al blues. La colonna sonora che Q ha composto per il film di Spielberg è un capolavoro di forza, di malinconia, con gli occhi fissi al cielo. Niente di pomposo, niente di facile: solo un’emozione trasportata da orchestra e archi, da qualche parte su un podio tra Morricone e Debussy. Stai piangendo mentre lo ascolti? E’ normale.
Le plus casting de fou: «Back on the Block», 1989
Si potrebbe pensare che la produzione, nel 1985, dell’opera di beneficenza “We Are the World”, con 45 stelle all’attivo, avrebbe guarito Quincy Jones dalla fantasia del “record totale”. E invece no: “Back on the Block”, dal be-bop all’hip-hop, riunisce il cast più pazzo della storia: Ella Fitzgerald, Ice-T, Big Daddy Kane, Al Jarreau, Ray Charles, Barry White, Dionne Warwick, Chaka Khan, Joe Zawinul, George Benson… Ah sì. Miles Davis e Dizzy Gillespie sono nella sezione tromba, del resto. Album dei Grammy dell’anno. Il Padrino della Musica è Q.
Il più storico: “Miles & Quincy Live at Montreux”, 1993
Nel 1991, con Claude Nobs, Quincy convinse Miles a seguire questa follia: riprodurre in vivere e davanti ad una doppia big band gli arrangiamenti anni Cinquanta dei suoi dischi con Gil Evans. Miles era al limite, sull’orlo della morte, ma non ci interessa. Ciò che sta accadendo è amore ed emozione pura. Ho visto con i miei occhi i ragazzi scoppiare in lacrime durante questo concerto. È teso e sublime, perché ti chiedi se The Chief resisterà. Alla fine, si sente Nobs urlare: “Miles Davis, Quincy Jones!!! Miles Davis, Quincy Jones!!!…” Questa mattina sono di nuovo insieme.
Christophe Passernato a Friburgo, lavora a Le Matin Dimanche dal 2014, dopo aver lavorato in particolare a Le Nouveau Quotidien e L’Illustré. Maggiori informazioni
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