Inna Modja, dal blues maliano alla sua lotta contro l’escissione

Inna Modja, dal blues maliano alla sua lotta contro l’escissione
Inna Modja, dal blues maliano alla sua lotta contro l’escissione
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Juliette De Banes Gardonne

Pubblicato il 28 settembre 2024 alle 08:49. / Modificato il 28 settembre 2024 alle 12:57.

A volte arrabbiato per un colpo pronunciato in bambara, a volte glamour nel soul elettropop, in inglese, Inna Modja risuona con kora, percussioni e flauto mandinka le preoccupazioni che attraversano la sua vita e la sua storia: “Nei miei testi, invito le donne maliane a emanciparsi dalle catene religiose e sociali, in altre canzoni mi rivolgono all’islamismo radicale nel nord del Mali, alla guerra, al destino degli sfollati. Non posso restare indifferente perché tutto questo pesa sulla nostra vita, su quella della mia famiglia e sulla mia”, ha detto al telefono.

Inna Modja è cresciuta in Mali. Sesto di sette figli, l’appena quarantenne ricorda Bamako come una città in festa: “La vita era molto gioiosa, niente a che vedere con quanto accade adesso dall’arrivo della giunta. La musica era ovunque, potevamo sentire la radio in ogni casa”. A 14 anni incontra il cantante Salif Keita: “Vivevamo nello stesso quartiere. La mia formazione musicale l’ho fatta con la Rail band di Bamako.” Senza provenire da una famiglia di griot, Inna ha deciso di intraprendere la carriera musicale, intorno a lei aleggia una costellazione di grandi nomi, Habib Kouyaté, per il quale ha aperto, Oumou Sangare, Cheick Tidiane Seck con cui lavora al suo album Motel a Bamako. “Oumou è un modello, un’ispirazione per le artiste dell’Africa occidentale”.

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