Con Un uomo solo (Grasset, 2025), Frédéric Beigbeder scrive uno dei suoi libri migliori, se non il migliore.
Dobbiamo diffidare dei bambini che scrivono. Usano il cibo della famiglia per rafforzare il loro universo romantico. I padri sono spesso sotto i riflettori in questi giorni. Non hanno necessariamente il ruolo migliore. L’epoca odia il virilismo e vuole combattere il patriarcato. Così gli scrittori, che sono rimasti per la maggior parte bambini, perché la letteratura è il contrario del lavoro come ci ricorda Georges Bataille, aprono i computer, frugano nella spazzatura, leggono le e-mail, scrutano la cronologia delle ricerche su Internet, insomma, trasformano entrare nel commissario Maigret alla ricerca di questo “misero mucchietto di segreti”, per usare la formula di Malraux, citata da Frédéric Beigbeder.
Questo padre pensava di odiarlo
Diciamolo fin dall’inizio Un uomo solo è sicuramente uno dei migliori libri di Beigbeder, se non il migliore. L’analisi è pertinente e lo stile raffinato; la formula sbatte e l’emozione nasce là dove la storia sembrava fredda come il granito, soprattutto quando si arriva ai troppo brevi capitoli 30 e 31, vale a dire l’addio a Jean-Michel Beigbeder (1938-2023), padre di Frédéric. Ne fa un vero e proprio personaggio di romanzo, da collocare a metà strada tra Roger Martin du Gard – oggi totalmente dimenticato – e Ian Fleming: “Era un francese che si credeva americano anche se era inglese”. Avevamo vagamente sentito parlare di quest’uomo corpulento che, dopo solidi studi di management alla Harvard Business School, aveva importato in Francia la professione di “headhunter” (executive search), “collocando” per cinquant’anni tutti i direttori del CAC 40. Un uomo senza fede né legge, per così dire, che usa pratiche immorali in un sistema che rifiuta tutti i valori supremi e li sostituisce con un’unica parola d’ordine: fare soldi. Il colto – Hypokhâgne, khâgne – e abile Jean-Michel non ha esitato a reclutare persone di talento per integrarle negli organigrammi di aziende prestigiose. Il suo motto: “La guerra economica è l’unica in cui vengono ricompensati i disertori”. Non abbastanza per rendere simpatico l’uomo, nonostante un percorso degno di nota L’uomo che ha fretta, romanzo elettrico di Paul Morand, con la probabile ipotesi di essere stato un corrispondente della CIA, cioè un “agente” che agiva contro gli interessi della Francia poiché gli americani hanno sempre cercato di destabilizzare il nostro paese, in particolare sotto de Gaulle che sapeva il significato della parola indipendenza.
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Padre brillante, simpatico, egoista, per non dire narcisista, indifferente soprattutto ai suoi due figli, Charles e Frédéric. L’uomo che un tempo era stato un bel giovane dagli occhi scuri, i capelli ben curati, la scriminatura netta sul fianco, morì completamente rovinato, da solo, di cancro alle vie biliari, dopo un lento e irrimediabile declino fisico dovuto al morbo di Parkinson. La morte del vecchio fu una liberazione. Il figlio dello scrittore racconta: “Verso la fine, nel mio bagno a Guéthary, mi ha chiesto di lavargli i capelli. Andò a torso nudo, aveva perso cinquanta chili e la sua pelle gli pendeva sullo stomaco come i marshmallow in una fiera. Piedi gonfi, niente caviglie. Tette in salviette. Gozzo punteggiato di macchie senili. » Lo scrittore aggiunge: “Non ridere, sarai lo stesso, povero bastardo. » Più avanti nel racconto, lo scrittore ammette di essere stato ingiusto nei suoi confronti nei suoi libri precedenti. “Lo prendevo per un bastardo che aveva abbandonato mia madre quando era stata lei a scaricarlo”, confessa. Dice inoltre: “Lui non ha mai reagito perché non leggeva i miei libri: li faceva leggere al suo compagno, al quale “piacevano”. » Sgarbo insopportabile. Ma la morte cancellò il risentimento e lo scrittore decise di indagare su questo padre non così odioso.
Collegio infernale
Françoise Sagan – che Beigbeder ama; continua a menzionare il suo nome; è un bene che uno scrittore di talento salvi un altro scrittore di talento dal possibile oblio – Sagan, quindi, scrive che a nove anni si hanno colte le basi della vita. Tutto è giocato. Quindi è importante superare in astuzia il sistema per giocarci. L’incubo di Jean-Michel iniziò all’età di otto anni, quando fu mandato in collegio dai suoi genitori. È l’abbandono incomprensibile; è l’ingresso nell’inferno del bullismo, delle percosse, delle umiliazioni e forse peggio… L’inferno ha un nome, Sorèze, un collegio cattolico situato nel Tarn. Incomprensibile, sì, quando sappiamo che i genitori di Jean-Michel nascosero – e salvarono – una famiglia ebrea nella loro villa. Allora perché hanno consegnato il figlio ai “rosary kapos”? Frédéric Beigbeder scrive: “In ogni caso, condizionato alla sopravvivenza solitaria in un ambiente ostile, il suo carattere si chiuse. Jean-Michel è diventato un essere umano murato. » Suo figlio riuscì a esfiltrarlo da questa fortezza invisibile. Lo scrittore ha poteri da demiurgo. Frequentateli solo in caso di forte slancio sentimentale.
Il finale è commovente, spogliato di ogni pathos. Frédéric finalmente lo chiama “papà”. Capiamo il perché quando ci racconta un aneddoto che vi lascio scoprire.
Frédéric Beigbeder ammette ancora: “In paradiso non sarà mai più solo. Sono felice per lui e triste per me stessa perché da questo giorno in poi l’unico uomo sono io. »
Jean-Michel riposa sotto una pietra rosa della Rhune, a Guéthary. Una tomba con vista sulle onde infuocate. Come Chateaubriand.
Frederic Beigbeder, Un uomo soloGrassetto. 224 pagine.
Un uomo solo
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