È più che tempo, è tempo di celebrare con dignità le imprese immutabili del padre dei nostri comici, il grande Deschamps. Ha 89 anni. Dobbiamo ringraziarlo mentre ancora risuona nelle nostre orecchie la sua risata, tanto sonora quanto candida, la sua risatina unica, solo per lui, riconoscibile tra mille.
Più che mai siamo collettivamente consapevoli del suo valore, di questo tesoro comico-filosofico-critico dell’ordinario e dei suoi contemporanei come solo il Quebec ha saputo creare, o quasi. Sembra che attualmente ce ne sia un bisogno urgente, ci rendiamo conto che Deschamps non è più immortale di Ferland o di chiunque altro, i progetti di tributi si accumulano e si intersecano: la raccolta Davvero tutto Deschamps… per intero è appena uscito nelle librerie, è in preparazione una serie televisiva sotto il patrocinio di Alexis Durand-Brault (riportato dal quotidiano La Presse l’anno scorso), Philippe-Audrey Larrue-St-Jacques offre la sua punta di cappello nel podcast Le parole di Yvon Deschampssu OHdio, e altre voci di spettacoli in preparazione si sussurrano qua e là. Il Deschamps dei bei vecchi tempi probabilmente ci avrebbe preso in giro con il suo sorriso beffardo dicendoci che era ora di svegliarci.
E c’è questo affresco, Yvon Deschamps parla del negozioche è stato presentato al Théâtre Maisonneuve, a Montreal. Che forse non costituisce il “tributo dei tributi”, ma che si rivela indiscutibilmente degno della grandezza del soggetto trattato. Una produzione magnifica, creativa, rispettosa, articolata attorno al lavoro grezzo di Yvon Deschamps, ai suoi testi sorprendenti. Sulla carta, Yvon Deschamps dice che il negozio ci ha fatto temere il peggio: tutto si presentava come una fusione di gioco, canto, danza, circo, in un universo “retrofuturista” (quest’ultimo alla fine non essendo così palpabile). Ma cosa avrebbe mangiato d’inverno questo disparato oggetto?, temevamo.
Questo però significava sottovalutare la visione del designer e regista Jean-François Blais (In diretta dall’universo, La VoixComediHa gala!) e, senza dubbio, anche la sua passione per l’eredità di Deschamps, da dubitare così. Lo spettacolo che ci propone illumina in modo brillante i monologhi del maestro supportandoli con musiche (varie), coreografie (attente) e acrobazie (riuscite). Non ci stanchiamo mai di sentirli ancora, questi brani di Yvon Deschamps, questi Sindacati, cosa danno le ossa? e altri Felicitàma qui vengono evidenziati in modo diverso e superbo… e ci fanno capire che ben poco è cambiato dai tempi in cui Deschamps brandiva ancora la penna.
Sul palco, un’impostazione di fabbrica. Quello del negozio. Blocchi bianchi e barili, enormi macchinari, una recinzione, che scomparirà, poi ritornerà. E anche gli operai, tutti vestiti di bianco. C’è il ribelle (David Savard), il sognatore (Elizabeth Duperré), la pecora (Stéphane Archambault), il sindacalista (Sylvain Marcel) e il caposquadra (David-Alexandre Després, in un ruolo muto). Nelle prossime due ore e mezza ognuno avrà la propria partitura di Deschamps da recitare, secondo la personalità del proprio personaggio, in una sapiente distribuzione delle parole. Gli operai raccontano i loro splendori e le loro miserie. I monologhi qui si rispondono e talvolta diventano dialoghi. Attorno al nucleo dei protagonisti si muovono gli altri operai, ovvero otto ballerini e due acrobati, e per giunta tre musicisti.
Lo stesso Yvon Deschamps non è nello show… O meglio, sì. Appare nel suo schermo inserito, un po’ più in alto rispetto all’azione, in piccoli frammenti di narrazione recentemente girati, dove agita ancora la gabbia delle sue osservazioni e la gentile ironia che gli è propria, collegando così le scene tra loro. Fortunatamente non si è abusato del processo; non è un spettacolo personale di Yvon Deschamps in quanto tale, dopotutto, ma abbiamo così un’idea di cosa direbbe l’uomo se dovesse andare al microfono del bordello nel 2024.
Abbiamo anche trovato il modo di inserire riferimenti al mondo di Charlie Chaplin, uno degli idoli di Deschamps, soprattutto all’inizio, con istruzioni rivolte agli spettatori in bianco e nero: “Applausi!”; “Sei in buona forma?”; “Più forte di così!”
La prima vignetta riguarda il duro lavoro. Quello diUn lavoro costante piano un buon capo E Sindacati, cosa danno le ossa?dove godiamo della settimana lavorativa di 54 ore e di una sola settimana di ferie all’anno, senza sicurezza fisica, senza sicurezza lavorativa. Gli artisti si muovono in movimenti militari in unione – appunto! – gesti studiati. Allora ci sarà Le ragazze, Il matrimonio della figlia del capo, Soldi, Paternità, Papà, il capo è morto, Lock Out e l’inevitabile Felicità chiusura. Con tutti questi passaggi memorabili delle frasi di Yvon Deschamps che hanno impregnato la nostra memoria collettiva.
Gli attori da soli, tutti eccellenti, costituiscono un’immensa forza di Yvon Deschamps racconta la bottega. David Savard infonde una fiducia imponente nel suo seduttore ribelle che mette in discussione il consenso Le ragazze (di attualità, Deschamps, avete detto?) Menzione speciale a Elizabeth Duperré, la cui voce ingigantisce un po’ tutti i segmenti. Da grande contemplativa che sogna un matrimonio sontuoso come Il matrimonio della figlia del boss, l’attrice di Momenti perfetti EPrima dello schianto unisce vulnerabilità e carattere. È senza dubbio la rivelazione dello spettacolo.
In ciascuna parentesi, uno o più brani. Non necessariamente da Deschamps. Yvon Deschamps dice che il negozio è anche, su piccola scala, un fiore per tutti i nostri grandi cantautori. Per lavoraredel Pagliaro, ed Come un milione di personedi Dubois, accompagnano il flusso Nel mio cortile. Ci sarà anche Vita familiare (Clémence Desrochers), All’altezza degli occhi (Vincent Vallières), La macchina maledetta (Pierre Flynn)… L’abilità circense romantica di mano in mano Sotto i caminidi Richard Séguin, con, ancora una volta, il tono di Duperré a valorizzare il tutto, è commovente. La rilettura di Città dei contantitratto dal repertorio di De Larochellière, suona un po’ dubbioso dietro la diatriba sui soldi, ma la maggior parte degli arrangiamenti sono armoniosi. E sentiamo anche, ovviamente, il Siamo felici, I glutei, Papà, Solo, Bum Bum, Felicità et Amiamoci l’un l’altrotutti firmati o co-firmati Deschamps.
Yvon Deschamps dice che il negozio incarna in sintesi l’illustre decreto di Yvon Deschamps di un tempo (che ovviamente emerge rapidamente nella sequenza): “Non vogliamo la sawoère, vogliamo la woère!”. Sotto gli ordini di Jean-François Blais, il piccolo mondo di Yvon Deschamps prende forma in carne ed ossa, reinventato, ma fedele all’originale. È assolutamente bellissimo. E ci sorprendiamo nel realizzare, ascoltando queste lamentele di una macchina maledetta che avrebbe inghiottito i dipendenti, mentre accoglie gli autoritari: “Moé e mia sorella, vogliamo l’industrializzazione!”, oggi, proprio ora che l’intelligenza artificiale ci rende temo il peggio, che le osservazioni di Yvon Deschamps siano state veramente, crudelmente, e rimarranno senza tempo.
Lo spettacolo che Yvon Deschamps racconta al negozio è attualmente in tournée.
Ne sono già stati annunciati altri in diverse città.
Visita yvondeschamps.com per ulteriori informazioni!