Durante le loro esistenze secolari, furono spesso come fratelli. Benfica e Sporting intendo. Non è un caso che, nell’anno in cui si festeggiarono i primi cento anni del derby, diedi il titolo al libro che ne nacque: Peggio dei nemici erano fratelli. Un titolo spudoratamente rubato al grande Dino Segre, italiano, giornalista, scrittore e soprattutto dotato di un formidabile senso dell’umorismo che usava il soprannome di Pittigrili. Credo che non gli importasse, o almeno non si lamentasse (ho sempre dato merito alla frase, anche se nessuno gli pagava i diritti d’autore), quindi è andata a finire così e, modestia a parte, è risultata molto dolce.
Due fratelli che vivono ai lati della stessa strada, la terribile Segunda Circular, l’arteria più lunga e intasata di Lisbona, sull’orlo del collasso per l’eccesso di colesterolo dell’auto, e che hanno appena vissuto due crisi strane e del tutto indefinite. Così strano che dobbiamo ancora scoprire se siano accaduti. Quella dello Sporting, segnata dall’orfanotrofio di Ruben Amorim, per me senza dubbio il miglior allenatore portoghese, e dall’inefficacia di João Pereira che ha sofferto, senza pietà, vedendosi mettere davanti il masso di Sisifo e pretendendo che lo spingesse al limite cima della montagna. Ammettiamo che quella frase di Frederico Varandas, alludendo alle capacità ancora da rivelare del giovane allenatore e promettendogli un futuro posto alla guida di uno dei più grandi club d’Europa sia stata assolutamente omicida. Le sconfitte si accumulavano, il vantaggio in campionato che sembrava saldo svanì, João Pereira finì per lasciare il cavallo per essere sostituito da Rui Borges. E all’ex allenatore del Vitória de Guimarães non sono servite grandi imprese per eliminare lo scenario catastrofico e riuscire a riempire nuovamente il petto del leone. Una vittoria ad Alvalade (1-0) contro un Benfica rannicchiato dalla paura e dalla sfiducia in se stesso, è bastata ai tifosi per allontanarsi dallo scenario di crisi e convincersi ancora una volta che il titolo non scivolerà via. Ora, un’altra vittoria (1-0), nella semifinale di Coppa di Lega, contro l’FC Porto che, in questo tipo di partite, e nonostante il lavoro quasi miracoloso che Vítor Bruno ha fatto con la rosa corta di cui dispone, disposizione, con poche alternative ed evidente minore qualità rispetto ai rivali, ha consolidato la convinzione che la strada verso la gloria fosse stata ancora una volta illuminata.
La paura di Lage
E se lo Sporting è entrato nuovamente nella sua fase felice, anche se non ancora basata su prestazioni brillanti come quelle di inizio stagione, il Benfica viene da settimane orribili in cui in tre partite consecutive (l’altra partita, in mezzo, è stato ritardato) ha commesso l’orribile impresa di perdere otto punti. E, più che i punti persi, c’è stata la totale incapacità della squadra e del suo allenatore ad affrontare la crisi rossonera. A Vila das Aves, vincendo 1-0, le aquile furono travolte nel secondo tempo da un avversario indubbiamente inferiore. Ad Alvalade, la paura ha fatto entrare ancora una volta Bruno Lage in campo con le gambe tremanti e ha trasmesso questa incredibile pusillanimità ai giocatori. A poco o niente è servito venire a togliersi l’acqua dal cappotto e invocare la volontà della squadra nel secondo tempo. Il classico è andato perduto a causa della mancanza di attitudine e paura. E i due massimi esponenti della squadra, Otamendi e Di Maria, non hanno taciuto nel criticare l’allenatore che, la settimana successiva, con le sciocchezze di chi si trova sotto assedio, ha perso il senno e ha perso a casa contro il Braga, allontanandosi sempre più dal primo posto promesso ai suoi tifosi per l’inizio del nuovo anno. Il pessimo discorso di Lage, invischiato in una confusione tale che all’inizio bisognava vincere per recuperare e che poi ha pensato di far riposare la squadra, è degno di Pittigrili. I punti sprecati nelle tre partite citate sono stati della stessa gravità dei quattro persi da Roger Schmidt all’inizio della stagione. Un punto perso è un punto perso e niente di più.
Mercoledì, nella semifinale contro il Braga (3-0), Lage deve essersi sentito come mai prima d’ora in questa stagione, per quanto valga la Coppa di Lega (e vale ben poco), il suo collo viene sempre più spinto verso la ghigliottina. La vittoria non poteva nemmeno essere messa in discussione senza correre il rischio che la crisi di risultati che ha travolto prepotentemente il Benfica (la crisi di rendimento è radicata come un male incurabile) entrasse nella fase cancerosa. Con buoni momenti, ma ancora una volta senza costanza per novanta minuti, Bruno Lage può respirare un po’ più tranquillamente fino a sabato. Si è scrollato di dosso una doppia sconfitta contro il Braga in cinque giorni che sarebbe stata abbastanza vergognosa da dipingergli la faccia di nero. Purtroppo per lui, ora si trova di fronte al fatto concretissimo che subirà la seconda sconfitta contro lo Sporting nel giro di ventitré giorni. Una sconfitta naturale considerando che i leoni continuano ad avere giocatori migliori, una squadra migliore e ora forse un allenatore migliore rispetto ai loro vicini della Seconda Circolare. Inoltre, come al solito, l’allenatore del Benfica deve tremare di paura. Ce l’hai nel sangue.