Questa domenica parliamo di una parola di moda… E anche di una parola che si può trovare in tutte le situazioni. Uno di quei tic linguistici che si susseguono, che sentiamo, che ripetiamo, insomma che sono contagiosi, che trasmettiamo come il Covid o un raffreddore appiccicoso.
In questa faccenda ognuno ha i propri fastidi. Molti amici delle parole mi scrivono per raccontarmi quanto l’epidemia dell’“improvviso” li esaspera. Qualche settimana fa abbiamo parlato di questa espressione che infastidisce Stéphane Carpentier: “naufraghi della strada”. Ebbene, quello che mi fa orrore in questo momento è l’invasione definitiva.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è arrivata tramite email, con l’annuncio di scarpe che si presentavano come la mia “armatura definitiva per affrontare l’inverno”. No, ma non è uno scherzo. E soprattutto, il giorno prima, il nostro correttore di bozze fece un salto in aria quando scoprì in uno di M, il settimanale di Le Monde, questo titolo: “Julianne Moore, l’attrice definitiva”.
Ultimo = ultimo
Ciò che è fastidioso in questo aggettivo ? Non è tanto che lo usiamo più di prima, è che lo usiamo male. Cos’è l’Ultimate? Secondo il dizionario dell’Accademia, la parola arriva nel XIV secolo in francese, derivando dal latino l’ultimoche significa “il più lontano, il più remoto; scorso”.
Nel francese attuale, ultimo, lo è “che è proprio alla fine di qualcosa, che viene per ultimo; per estensione, che costituisce un limite che non può essere superato”, spiegano gli Immortali, che fanno degli esempi: “La tappa finale del Tour de France termina sugli Champs-Élysées [ou] Come ultima risorsa è possibile ricorrere alla Corte Suprema.” “L’ultima ora è quella della morte.”
COSÌ. L’ultimo è l’ultimo. L’ultima ora è raramente la migliore! E gli stivali Tartempion sono l’“ultima” armatura contro il freddo? Julianne Moore l’“ultima” di tutte le attrici? Oh no. In questi due casi, come in tanti altri che sciamano e si moltiplicano in Francia alla velocità del calabrone asiatico, questo uso dell’aggettivo ultimo è un anglicismo: questo è il significato della parola americano ultimo che si usa, per snobismo. Ed è proprio questo significato che risulta vincente, prevalendo sul significato originario.
Quindi quale parola avrebbe dovuto essere usata in questi due casi? Semplicemente supremo. Come scrive l’Accademia, diciamo “essere alla ricerca della felicità perfetta” non la “felicità ultima”, che sarebbe l’ultima.
Una parola, due significati
Purtroppo è una battaglia persa. Le Petit Larousse 2025 continua a definire ultimo come “ultimo, finale”, ma il Il piccolo Robertoa partire dall’edizione del 2024, ha aggiunto un secondo significato, quello di supremo. Certo, dice che si tratta di un anglicismo, ma questa voce nel dizionario è il segno che questo uso ha preso piede, ed è il primo passo verso una corretta ammissione nel vocabolario francese.
Ultimate avrebbe quindi due significati diversi: è strano, si potrebbe dire. Ma è già così: i due significati già coesistono, come abbiamo appena visto. C’è qualcosa, curiosamente, che permette di differenziarli: quando ultimo significa “ultimo” (il suo significato originario) viene spesso anteposto al sostantivo come in “Valérie ha mangiato l’ultimo croissant”, e quando significa “supremo”, è spesso posizionato dopo “quello, amici, è il croissant definitivo” (implicito, non ne faremo mai uno migliore).
Un aggettivo che cambia significato a seconda della sua posizione nella frase è una cosa comune. Ecco perché una donna povera non è necessariamente una donna povera, e perché un grande uomo non è sempre un grande uomo! Insomma, in francese esistono già parecchie parole che hanno diversi significati… e in fondo non è poi così peggio!
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