Mucchio di «Voga»i mobili scelti, l’autorità del padre, il fiuto delle carte, la disinvoltura dei figli, accasciati davanti alla televisione, il perfetto sulla schiena, le scarpe da ginnastica sul tavolino… La somma dei segni esterni di ricchezza quasi eclisserebbe la vero soggetto di questa scena di interno: i legami di sangue. Filmato da Tina Barney, in Super 8 e in bianco e nero, La Biblioteca (1982) inaugura volutamente il percorso chiuso da un altro video – Estate nel Rhode Island (1997) – evidenziando, dai barbecue ai giochi di golf, i riti estivi e le attività del tempo libero VESPA dalla costa orientale.
Togli la foto dal libro
“Questi film inquadrano il suo lavoro fotografico come lavoro preparatorio”dice Quentin Bajac, direttore del Jeu de Paume e curatore della prima retrospettiva europea dedicata a Tina Barney, vedendo in queste “montaggi crudi di momenti raccolti”la maggior parte dei “lavoro di costruzione dello spazio compiuto nelle sue immagini fisse”. Tra questi due “terminali”, una folla di ritratti di famiglia, a colori o senza, alcuni fluttuanti in binari di vetro che lasciano intravedere, tagliano il piano terra del ventennale centro d’arte come le stanze di una casaPosizionato a destra altezza, appena sopra gli occhi, il tutto steso in 120 x 150 cm, il suo formato preferito, “non grande come Andreas Gursky, probabilmente più piccolo di Jeff Wall, quasi in scala 1 “. Resta quello “Barney appartiene a questa generazione che, alla fine degli anni ’70, amplificherà il volume di immagini destinate alla parete più che al libro ».
D’insieme o in primo piano, la visione varia a seconda della posizione del corpo e del grado di attenzione. Da lontano tutto sembra andare bene: diverse generazioni convivono sotto lo stesso tetto, chiaramente al riparo dal bisogno. Da vicino, la vernice si sfalda quando l’occhio, colto all’improvviso da un gesto, da un broncio, da uno dei mille dettagli che saturano il decoro, crede di intuire l’altro lato. “Questa incapacità di mostrare affetto fisico è nella nostra eredità”sostiene Tina Barney, di fronte all’impressione di rigidità data da questi cari, fatalmente distanti.
Tina Barney, Commissione familiare con serpente (primo piano) [Comité familial avec serpent (gros-plan)]2007 ©Tina Barney, per gentile concessione dell’artista e Kasmin, New York.
Ad altezza bambino
Ben nato nel 1945 a New York, figlia di un’ex modella convertita in decoratrice d’interni e banchiere d’investimenti che raccoglie il suo tempo libero, l’ottuagenario non sa nulla dei difetti della sua classe. “La satira sociale non gli interessa”tuttavia, assicura Bajac, che non trova in comune con Martin Parr più che con le campagne di Ralph Lauren, alle quali alcuni critici, secondo i cartelli elaborati, hanno potuto associarlo. “Il processo di una comunità che ripete eventi anno dopo anno sembra essere sempre stato l’obiettivo principale di tutto ciò che fotografo”riassume l’interessato, infiltrato ma ritirato, sensibile tanto alla neutralità di August Sander quanto a quella dell’antropologa Margaret Mead.
Dotata di una batteria di flash e posizionata su un treppiede, la fotocamera 20 x 25 che maneggia “contro l’uso”come una macchina fotografica istantanea, inserendo ed estraendo la pellicola girata con entusiasmo, prima da solo poi con l’aiuto di un assistente, gioca un ruolo importante in questo sguardo decentrato, leggermente dal basso, che ricorda quello del fratello minore Philip-Lorca diCorcia (nato nel 1953), un altro narratore. “Non è questo, in definitiva, il punto di vista della bambina che era? »azzarda Bajac, concordando con l’opinione di Barney, per il quale la fotografia costituisce “l’unico modo per mettere in discussione la storia della tua vita”.
Tina Barney, Tim, Phil e io [Tim, Phil et moi]1989 ©Tina Barney, per gentile concessione dell’artista e Kasmin, New York.Breve storia della borghesia
Il suo segue, a priori, un percorso chiaro: scuole private, studi interrotti, matrimonio, figli, divorzio. Fino a questo fuoripista di Sun Valley, stazione sciistica nel cuore delle Idaho Rockies, dove andò in esilio nel 1974 con il marito e i loro due figli. Lì, ha seguito i corsi tenuti da Patrick de Lory e Mark Klett al Center for the Arts and Humanities, assecondando una passione risvegliata dal nonno materno, fotografo amatoriale, e mantenuta dalle stampe firmate Robert Frank, Walker Evans o Lee Friedlander, che ha acquistato tra due missioni di volontariato al MoMA. Che acquisì, nel 1983, Domenica New York Times (1982), rassegna stampa mattutina in una sala da pranzo opulenta e sovraffollata, inclusa nello stesso anno nella mostra “Big Pictures by Contemporary Photographers”.
“All’epoca la fotografia delle classi alte non aveva storia e pochi antecedenti”ricorda Quentin Bajac, citando, a parte le fantasie di Jacques-Henri Lartigue, i bagni di sole sulla Promenade des Anglais, o le serate di ballo nei palazzi svizzeri, rispettivamente interpretate da Lisette Model e Jakob Tuggener negli anni ’30. Mai però le élite avevano solo stato visto da questo punto di vista domestico. Sally Mann, Mary Frey, Carrie Mae Weems, Nan Goldin… Altri oltre a Tina Barney incarnano questo Fotografia domestica poi nella sua infanzia, abbandonando l’anonimato della strada. Ma lei sola ha tanti privilegiati nel suo entourage.
Niente è cambiato
Le sue capacità interpersonali trascendono i confini: dal 1996 al 2004 ha fotografato “ amici degli amici »ricchi provenienti dall’Italia, dalla Germania o dall’Inghilterra. Se le pose solenni e le espressioni austere tradiscono il peso delle tradizioni più che in patria, resta il fatto Gli europei (2005) si estende Teatro delle Maniere (1997), una saga il cui sistema ha raggiunto i suoi limiti in Cina, dove è rimasta nel 2006 e ha incontrato la barriera linguistica. Ben presto, l’immagine si svuota e Barney, cosciente” per aver logorato al limite il genere della pittura coreografica », entra dallas e Vermeer, De Hooch e Dinastiaaccetta ordini per la stampa, la moda e la pubblicità.
Riuniti nel lavoro Giocatori (2010) – e nella seconda sala della retrospettiva – compaiono questi lavori più diretti “meno persone », non hanno il fascino raffinato ma sfacciato dei suoi primi tentativi. Di recente, prima di approfittare della pandemia per rovistare nei suoi archivi, ha fotografato i nipoti di coloro che guardò trent’anni fa: “ In molti sensi, nulla è cambiato », constata il nostalgico, ponendo instancabilmente la questione della traccia. Il tempo passa, i determinismi restano.