A Nanterre un anno dopo Nahel, “come se non fossimo parte della Francia”: Notizie

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Su un muro nel popolare quartiere Pablo-Picasso di Nanterre, Mohessine e le sue amiche hanno dipinto un affresco in omaggio a Nahel. Un anno dopo, dicono, la polizia a volte li spinge contro il lavoro durante i controlli d’identità.

Allegoria di un quartiere dove la vita continuava, dopo l’omicidio di questo adolescente ucciso da un agente di polizia durante un controllo il 27 giugno 2023, con le stesse difficoltà quotidiane, deplorano residenti e associazioni.

Mohessine Charkaoui, 27 anni, era un “amico intimo di Nahel”. Con quattro amici ha realizzato questo affresco, riflesso della vita quotidiana qui: il kebab, il caffè, le moto da cross, la spianata soleggiata ai piedi delle famose torri di Nuages.

Ad essa si sovrappongono immagini più scure: la marcia dei bianchi, un’auto bruciata, la stanza disperatamente vuota dell’adolescente dove si trovano i caschi da motociclista e la bandiera del PSG.

“Grazie all’affresco abbiamo dimostrato di avere talento, (…) muoviamo qualche mattoncino e alla fine si forma un muro”, afferma entusiasta Mohessine.

È uno di quelli che la tragedia ha messo in luce, lui che ha creato un’associazione sportiva e si è inserito nella vita già movimentata del suo quartiere dopo la morte di Nahel e gli scontri che ne sono seguiti.

«Tutti i giovani del quartiere lo conoscono e lo seguono», riassume Loubna Benazzi, intervistata nei locali di Authenti-cité, a due passi dall’affresco.

Creata nel 1993, questa associazione che lei guida da sei anni lavora per compensare le carenze dello Stato, spiega: in particolare, fornisce sostegno educativo a un centinaio di giovani all’anno e fornisce pacchi alimentari a 250 famiglie.

Dai disordini, assicura Loubna Benazzi, non è cambiato nulla “e con un budget di 100.000 euro (…), stiamo lottando: abbiamo la fortuna che i sussidi non diminuiscono, ma non aumentano nemmeno” .

– Effetti postumi –

A queste difficoltà si aggiungono le conseguenze ancora visibili delle rivolte. “Le strade non sono state completamente riparate, abbiamo perso il centro fiscale in avenue Georges-Clémenceau”, si è rivolto alla prefettura, constata il direttore.

“I danni gravi agli edifici richiedono necessariamente più tempo, soprattutto a causa delle perizie (…) da realizzare”, si giustifica il municipio, invocando un’assicurazione “che non sta veramente al gioco”.

Tra gli edifici comunali, quattro hanno subito gravi danni, altri sei hanno subito danni, per un costo stimato di 5,2 milioni di euro, precisa il comune DVG.

Altro motivo di preoccupazione nella popolare cittadina dell’Hauts-de-Seine: la presenza della polizia, attribuita al passaggio della fiamma olimpica a fine luglio, alle operazioni antidroga “Place Nette” o ai disordini.

“Dopo Nahel è anche peggio”, lamenta Khadija Kammour, volontaria di Authenti-cité.

Questa visibilità sul campo complica il lavoro degli educatori specializzati, notano.

“Ho l’impressione che i giovani siano meno aperti allo scambio e un po’ più diffidenti”, afferma Damien Henique, ex educatore e capo dipartimento dell’associazione Les 4 Chemins di Nanterre.

Esiste tuttavia un “desiderio della città” di avere “politiche più favorevoli ai giovani dei quartieri”, ritiene la sua presidente Joëlle Vasnier, che ricorda che il marchio “Città educativa” riunisce i soggetti interessati all’istruzione del quartiere che beneficiano dei finanziamenti 1,29 milioni di euro in tre anni.

“Ma non è magia, i problemi sono molteplici”, aggiunge. Nel complesso, la salute mentale dei giovani, peggiorata dai tempi del Covid, è, ad esempio, ulteriormente peggiorata dopo la morte di Nahel.

“Gli educatori hanno riferito di aver visto i giovanissimi singhiozzare le sere degli scontri, è stato un enorme sconvolgimento interno”, ricorda.

– “Trasforma la rabbia” –

Di fronte a questo sgomento, la risposta essenzialmente securitaria del governo ai disordini dell’estate scorsa non ha convinto la popolazione del quartiere.

“È come se non facessimo parte della Francia”, ha detto Amira Berrah, ricordando le accuse contro i “genitori dimissionari”, durante un incontro al centro sociale P’Arc en Ciel.

Questa madre si incontra regolarmente lì con il Collettivo delle donne del quartiere Parc-Sud, creato dai residenti dopo i disordini. Insieme hanno stilato un elenco di 47 proposte per “trasformare la rabbia in qualcosa di costruttivo”, avendo come priorità l’educazione.

Questo documento, ora nelle mani degli eletti, chiede in particolare di porre fine alla “discriminazione da parte della rete”, che rallenta la ricerca di stage per i giovani del quartiere. Pone anche l’eterna questione del loro rapporto con la polizia.

“Non so come affrontare il problema”, sussurra Fatiha Abdouni, un’altra membro del collettivo ed ex direttrice dell’associazione Les Mamans des Pablo.

La signora Berrah si alza per andare a prendere i suoi figli a scuola. Lei che “non è mai stata educata a disdegnare la polizia”, ​​l’argomento la riguarda: il suo figlio maggiore sta entrando nell’adolescenza e le sue preoccupazioni crescono.

“Non è normale che oggi, come cittadini francesi, possiamo dire a noi stessi ‘forse mio figlio sarà un bersaglio’”, dice.

“Anche se gli do tutta l’educazione necessaria, anche se non ho certe difficoltà”, elenca, “so che mio figlio potrebbe essere un Nahel”.

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