Negli ultimi anni, l’Unione Europea (UE) ha lavorato duramente per raggiungere i propri obiettivi di sostenibilità attraverso un’ampia regolamentazione. Il fulcro di questi sforzi è il Green Deal europeo, un ambizioso programma volto a rendere l’UE neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050. Questa tabella di marcia ha dato origine a tutta una serie di nuove direttive e regolamenti che interessano tutti i settori economici e sono fonte di grandi sfide per le imprese.
Una di queste oltre 160 nuove normative è la Direttiva sul reporting di sostenibilità (CSRD). Sebbene il termine sia scaduto, 17 Stati membri dell’UE non l’hanno ancora recepito nel diritto nazionale. In risposta, nel settembre 2024 la Commissione europea ha avviato procedure di infrazione contro questi paesi. Questi ritardi dimostrano che le norme previste dalla direttiva sono difficili da attuare. In tal modo la direttiva mette a repentaglio la certezza giuridica e l’armonizzazione del mercato europeo.
I paesi membri dell’UE si trovano ad affrontare sfide comparabili. La legge tedesca sulla due diligence della catena di fornitura (Lieferkettensorgfaltspflichtengesetz, abbreviato LkSG) è oggetto di forti critiche. Le associazioni imprenditoriali, il Ministero tedesco dell’Economia e perfino la Cancelleria criticano gli elevati requisiti amministrativi, che rappresentano un problema soprattutto per le piccole e medie imprese. Siamo consapevoli che le rigide leggi sulla catena del valore impongono costi considerevoli alle imprese, senza effettivamente migliorare i diritti umani e gli standard ambientali. Robert Habeck, ministro tedesco dell’Economia (Verdi), ha dichiarato all’inizio di ottobre che la legge “è andata nella direzione sbagliata” e che non si tratta di apportare miglioramenti isolati ma di restituire maggiore responsabilità individuale alle imprese. Finché questo concetto verrà concretizzato, potremo “avviare la motosega e tagliare la legge”.
Questi sviluppi dimostrano che lo tsunami normativo di Bruxelles non solo porta con sé una massa di burocrazia, ma minaccia anche seriamente la competitività dell’economia.
«Quando si tratta di norme sulla sostenibilità, la Svizzera deve andare per la sua strada»
In questo contesto è fondamentale che la Svizzera eserciti cautela nell’attuazione degli sviluppi internazionali in materia di sostenibilità. Le disposizioni dell’UE sono ben intenzionate, ma rischiano di minare in modo significativo la competitività economica senza creare valore aggiunto per l’ambiente o i diritti umani. Il dinamismo normativo dell’UE nell’ambito del Green Deal dimostra che la volontà politica di promuovere la sostenibilità spesso va a scapito dell’attuazione pratica.
La Svizzera deve rimanere indipendente e mettere in discussione gli sviluppi all’interno dell’UE. Non deve seguire ciecamente i progressi normativi dell’UE e del Green Deal.
“Servono soluzioni pragmatiche anziché regolamentazioni eccessive”
È nell’interesse della Svizzera adottare regole compatibili con quelle dell’UE, ma anche con gli standard internazionali, senza autocensura. Non sembra impossibile che l’UE debba ora correggere le importanti normative degli ultimi anni alla luce delle realtà economiche. La Svizzera deve quindi agire con saggezza, prendere le distanze da modelli inadeguati e fare riferimento invece a standard veramente internazionali, cioè globali.
Una politica di sostenibilità indipendente, compatibile ed equilibrata non solo gioverà all’economia svizzera, ma contribuirà anche a preservare l’attrattiva della piazza economica svizzera.
“Dobbiamo cogliere le opportunità”
Gli sviluppi all’interno dell’UE mostrano chiaramente le sfide legate all’attuazione di norme complesse o addirittura impossibili da attuare. La Svizzera ha l’opportunità e il dovere di imparare da tutto ciò e di trovare un percorso che tenga conto degli obiettivi di sostenibilità globale e garantisca la competitività della nostra economia. È giunto il momento di sviluppare soluzioni realizzabili ed efficaci per le imprese, l’ambiente e la società.