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I tempi sono buoni per gli ultra-ricchi

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Chi dice che ricchezza estrema significa controllo estremo, denunciano 370 milionari e miliardari di 22 paesi in una lettera ai leader mondiali al World Economic Forum di Davos, dove giovedì è atteso in videoconferenza l’iperattivo Donald Trump, con i suoi cento controversi decreti appesi alle braccia le sue spalline da presidente 2.0. Sì, sì, anche laddove la sua base elettorale (e parte di quella di Pierre Poilievre) vede una cattiva élite che cerca di escogitare una governance globale.

Preoccupati per il destino del mondo, i firmatari chiedono un limite all’eccesso che comporta la tassazione degli ultra-ricchi. L’offensiva non è banale. Questi uomini e donne, tra cui Abigail Disney, Marlene Engelhorn, Brian Eno e Richard Curtis, credono che la ricchezza dell’1% oggi pesi così tanto da essere diventata una “questione di controllo” contro la quale i nostri leader sono scarsamente attrezzati. Quando non scelgono di rimanere ciechi.

Un recente sondaggio condotto su 2.900 milionari del G20 conferma le loro impressioni. Due terzi degli intervistati hanno sottolineato la “natura inopportuna” degli interventi degli ultra-ricchi nelle ultime elezioni americane. Peggio ancora, il 63% pensa che il ruolo che svolgeranno durante la presidenza Trump “costituisca una minaccia alla stabilità globale”.

È difficile non dare loro un certo merito vedendo l’imprevedibile Elon Musk accendere fuochi negli Stati Uniti, in Germania o in Gran Bretagna con la divertita benedizione di un presidente che gli ha disegnato un ruolo su misura ponendolo a capo del suo commissione per l’efficacia del governo. Già considerato l’uomo più ricco del pianeta, il capo di Tesla, X e SpaceX ha visto la sua alleanza con Trump spingere la sua fortuna oltre i 440 miliardi di dollari USA. Un record.

Nel suo discorso di addio alla presidenza, Joe Biden era preoccupato anche per “una pericolosa concentrazione di potere nelle mani di pochissimi ultra-ricchi” all’interno del suo stesso Paese. Riferendosi alla nascita di un “complesso tecnologico-industriale” di grande influenza, ha messo in guardia i suoi concittadini “da un’oligarchia” che minaccia “l’intera democrazia” e, con essa, i suoi “diritti e libertà elementari”.

L’uso del termine “oligarchia” (per descrivere un regime in cui il potere è detenuto da un piccolo numero di individui) è aperto al dibattito. Tuttavia non si tratta di un abuso, afferma Joseph Stiglitz. In un’intervista rilasciata la settimana scorsa a Culture, il premio Nobel per l’economia spiega che se negli ultimi anni ci siamo preoccupati per la Russia e l’ascesa dei suoi oligarchi, è ora di fare lo stesso con gli Stati Uniti e i loro paesi tecnologici. oligarchi. “La nostra unica speranza è che non riescano a mettersi d’accordo tra loro. »

Che sfortuna, tutte queste belle persone alla guida di aziende in espansione che hanno raggiunto lo status di proto-Stati quasi intoccabili formano, almeno per il momento, un fronte unico. Come evidenziato dalla formazione sapientemente allineata offerta da Elon Musk, Mark Zuckerberg (Meta), Jeff Bezos (Amazon), Sundar Pichai (Google), Sam Altman (OpenAI), Tim Cook (Apple) e altri Shou Zi Chew (TikTok) su la cerimonia di insediamento presidenziale.

Non siamo ingenui, questi potenti sono lì innanzitutto per promuovere i loro interessi. Va bene, Donald Trump, come loro, ha un’avversione per le normative. Realizzerà la sua “età dell’oro” sciogliendo le mani degli audaci che vogliono arricchire l’America, ha promesso lunedì. Il permesso di inquinare, disinformare, abusare e riscrivere la narrativa comune senza “essere disturbati” come bonus.

Il fenomeno non è solo americano. Il rapporto Oxfam sulla disuguaglianza pubblicato lunedì mostra che i tempi sono buoni e non cattivi ovunque sul pianeta per gli ultra-ricchi. Va detto che questi ultimi beneficiano dell’ascesa della destra, con la quale condividono la propensione alla deregolamentazione, al libero mercato e al disimpegno dallo Stato.

E sanno come trarne vantaggio. Le fortune dei miliardari sono aumentate tre volte più velocemente nel 2024 rispetto al 2023. La povertà non è cambiata dal 1990 e colpisce circa il 44% della popolazione mondiale, che deve condividere una percentuale di ricchezza paragonabile a quella accumulata dall’1% più ricco. Pance vuote, lavori precari e tetti traballanti nel loro

Tutte Cassandre, queste voci chiedono un riequilibrio? Questa non è certamente l’opinione dei tanti economisti che, come Stiglitz, hanno già lanciato più volte lo stesso allarme e proposto lo stesso rimedio. Senza molto successo finora.

La sfortuna è che con i governi e le élite infiltrati dagli ultra-ricchi – tanto più quando si tratta di giganti della tecnologia capaci di dettare anche la narrazione collettiva – la comunità (i suoi bisogni, i suoi equilibri e le sue aspirazioni) non conta nulla. Arriviamo allora a vedere solo il prezzo delle cose. E così facendo ne dimentichiamo il valore.

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