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Gambe Lunghe di Oz Perkins | Revisione

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C’è un fenomeno tutto di internet entrato nell’immaginario e assorbito, a volte senza volerlo, da noi utenti postmediali. È quello degli spazi liminali, spazi liminaliper definizione quelle immagini della rete, spesso Estetica Y2Kche presentano strade della periferia americana, case disabitate, uffici desolati, garage sconfinati di un qualsiasi centro commerciale, corridoi. L’impressione è quella di una soglia, di un passaggio da luoghi a noi familiari verso dimensioni sconosciute, inquietanti, parallele. Il nuovo horror di Oz Perkins, Gambe lunghesembra dialogare proprio con questi immaginari.

Tra i più attesi film del 2024 – grazie a una strategia di comunicazione ineccepibile – il film vede protagonista Nicolas Cage nei panni di un serial killer e Maika Monroe, la detective Lee Harker sulle sue tracce. Un passo indietro negli anni ’70: Oregon, una bambina incontra una figura inquietante che noi sappiamo già essere il killer che aspettavamo, la maschera è esibita in quello che forse è un travestimento o semplicemente il suo genere. Oggi, negli anni Novanta di Bill Clinton, quella bambina è una detective adulta, ha un dono: è una specie di medium che riesce a percepire delle cose, ha un più. Maika Monroe è ancora una ultima ragazza Si accomodi Segue; lì in un ruolo che ragionava sulla figura canononizzata nella età dell'oro dell’horror, qui in un doppelgänger di memoria kubriackiana.

Riemerge dal passato una storia di stragi familiari, forse pilotate da un serial killer che, come da manuale, spedisce delle lettere in codice cifrato, da eco al più menzionato degli assassini seriali, Zodiac. Qui però il codice è decriptato dall’agente Lee Harker che subito ci appare un personaggio legato al terribile assassino. Ma come? Perché?

Il film geometrico, rigoroso di Perkins spaventa e talvolta sfugge a uno svolgimento inappuntabile, ma d’altronde, perché cercare a tutti i costi una spiegazione razionale? L’horror è figlio del fantastico e la logica in molti casi viene a mancare in favore dell’esperienza visiva, della paura che lo spettatore cerca. Gambe lunghe soddisfa appieno questa richiesta. Le sequenze in 4:3 in cui la figura di Dale Kobble è tagliata, le inquadrature mozzata, lo spazio claustrofobico della scelta dell’proporzioniaumentano l’effetto di inquietudine.

Un serial killer che non uccide materialmente, l’incarnazione del Male, un demone che distrugge materialmente il sogno americano della famiglia perfetta, agendo attraverso una figura vicaria, affidabile e di facciata. La religione come travestimento, ancora. Dal serial killer ci aspettiamo meticolosità e spiegazioni razionali del perché delle atrocità da lui commesse e, invece, Perkins sottrae a ogni logica l’operato del suo mostro. Scrive Simone Sauza nel suo libro Tutto era cenere. Sull’uccidere seriale (Nottetempo, 2022), nel momento in cui l’autore cerca di decostruire la vulgata sull’esistenza a tutti i costi di un incidente biografico e di un trauma a motivare l’omicida seriale: «Da qui la mia insistenza sulla decostruzione del trauma. Prima ancora di ogni evento catastrofico nella biografia personale, bisogna riconoscere che il trauma originario è anteriore a tutto, persino alla nascita; la frattura è nella soggettività stessa, inscritta nella configurazione materiale che ognuno è, latente dunque in quell’evoluzione della materia che a un certo punto della storia cosmica si è fatta vivente appellandosi a sé come un io. […] Questo trauma originario, che con marchio invisibile, ha toccato la carne, è la condizione possibile di ogni trauma. Nell’esperienza omicida del serial killer questo resto originario emerge e destabilizza il loro vissuto; ma si tratta di una possibilità che, in forme diverse, riguarda tutti.».

Kobble è l’incarnazione di quel trauma cosmico in quel corpo enigmatico, che vive nel seminterrato, che sta sotto la superficie del mondo. Gambe lunghe è, semplificando, un horrror e una detective story che sovverte ogni regola della detective story, poiché lascia nello spettatore l’ambiguità tra razionale e irrazionale, cose terrene e cose del soprannaturale. Un film lontano, ma quanto mai analogo è Cupo di Philippe Grandrieux che, già dal titolo (in italiano buio), ci porta nella storia di un omicida seriale la cui motivazione sui suoi terribili atti sembra riconducibile al male intrinseco del mondo, profondo, cosmogonico.

Allora, forse, quelle strade desolate, quei spazi liminaliquegli spazi tanto vuoti quanto spaventosi, che ritornano a più riprese nel film di Perkins, sono alla zona di passaggio tra ciò che possiamo spiegarci e il perturbante, l’insondabile che a volte si nasconde dietro una tragedia familiare, quelle che a cui la cronaca ci ha abituati e la cui ragione resta spesso sconosciuta. È il male per il male e dal male. Lee, doppio adulto di Danny Torrance, porta il fardello di percepirlo, sentirlo e conviverci. Quelle soglie a cui guarda prima della tragedia, quelle porte dove spesso è incorniciata non sono altro che il punto tra il visibile e oblio, tra la razionalità e l’incomprensibile orrore. E contro ogni ricerca consolatoria per spiegarci il male, Gambe lunghe ci pone di fronte al vuoto.

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