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Riuscirà un giorno la Quinta Repubblica a ritrovare la stabilità?

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FIGAROVOX/TRIBUNA – Se l’attuale instabilità politica si spiega con l’incompetenza ciclica dell’esecutivo, è anche il risultato di mezzo secolo di sovversione delle istituzioni galliane, analizza il professore di diritto Guillaume Drago, che suggerisce le vie per rimediare.

Guillaume Drago è professore di diritto all’Università di Parigi Panthéon-Assas


Il valzer dei governi dal 2022 ricorda ad alcuni la Quarta Repubblica. Il succedersi di quattro primi ministri in due anni rivela un’instabilità che si è tentati di attribuire all’onnipotenza dell’Assemblea nazionale, anche divisa e senza maggioranza. La situazione è in realtà molto diversa e l’instabilità dei governi dal 2022 non ha la sola origine di un Parlamento irresoluto. Dobbiamo tornare ai fondamenti della Quinta Repubblica e mostrare come gli elementi che fino ad allora fornivano la forza delle nostre istituzioni si sono spostati al punto da compromettere l’equilibrio del Paese, sia a livello politico che istituzionale.

La Costituzione del 1958 mirava a rafforzare lo Stato e le sue istituzioni, attraverso potenti meccanismi nelle mani del potere esecutivo. A capo di questo esecutivo, la Costituzione ha posto un Presidente della Repubblica, elemento centrale del sistema costituzionale la cui legittimità è stata fortemente rafforzata nel 1962 dalla sua elezione a suffragio universale diretto. È così diventato il perno attorno al quale ruotano le istituzioni e le elezioni, cioè il sistema costituzionale e il sistema politico. La sua responsabilità politica è importante e nessuno dovrebbe dubitare della sua legittimità.

Il secondo elemento di stabilità è dovuto a “fatto di maggioranza”vale a dire la congiunzione della maggioranza presidenziale, risultante dalla sua elezione, e della maggioranza governativa e parlamentare che ne risulta, “nel processo” delle elezioni presidenziali. Questo schema è stato vero per molto tempo, sia per la destra che per la sinistra, quando queste tendenze politiche erano al potere. Quello che René Capitant, storico gollista, chiamava “armonia”. Il Presidente della Repubblica si avvaleva di una doppia legittimità: la propria derivante dall’elezione da parte dei francesi, quella del Parlamento, o almeno dell’Assemblea nazionale, eletta a suffragio universale diretto e coerente con la maggioranza presidenziale. Tutto andava bene nel migliore dei mondi possibili.

Questo modello non sempre ha prodotto una situazione politica pacifica. Il presidente è stato talvolta obbligato a cercare una nuova legittimità, attraverso il ricorso al referendum, purché la risposta alla domanda posta andasse ovviamente nella direzione voluta dal presidente. Oppure, in caso di rielezione (Mitterrand nel 1988) o di conflitto con il Parlamento (de Gaulle nel 1962), una nuova Assemblea rinnovava la legittimità presidenziale.

È sul piano delle pratiche politiche che il sistema del nostro regime ha sofferto di più, producendo una sfiducia reciproca tra il Presidente della Repubblica e il popolo francese.

Guillaume Drago

Aggiungiamo che lo svolgimento dell’azione di governo è stato molto facilitato dalle prerogative sul Parlamento: conduzione dei dibattiti parlamentari da parte di un governo preponderante, voto bloccato (art. 44, comma 3 Cost.), libero utilizzo del famoso articolo 49, comma 3, limitazione rinvio al Consiglio costituzionale, … E questo governo che “determina e conduce la politica della nazione” (art. 20 Cost.) aveva un’ampia capacità di azione, senza presidente costantemente “il sud sono due”per così dire…

La macchina costituzionale si è progressivamente disgregata, per molteplici cause, delle quali vogliamo evidenziare solo alcune. Il primo è certamente la riduzione del mandato presidenziale da 7 a 5 anni, dopo la revisione del 2000. La lunga durata e il respiro lento del mandato presidenziale sono diventati il ​​respiro breve del momento e della prossima scadenza elettorale.

La seconda scossa è venuta dall’abbandono del ricorso al referendum, che ricordiamo è, sotto la Quinta Repubblica, una delle maggiori espressioni della sovranità (art. 3 Cost.: “La sovranità nazionale appartiene al popolo che la esercita attraverso i suoi rappresentanti e attraverso il referendum”). Questa grande boccata d’aria democratica dovrebbe consentire al presidente di ritrovare la sua immagine di legittimità e al popolo francese di aderire ai grandi temi dell’azione politica intrapresa. Questa grande frustrazione è una delle chiavi profonde della sfortuna francese.

La terza scossa è venuta da alcune disposizioni della revisione costituzionale del 2008. La limitazione dell’uso dell’articolo 49.3 della Costituzione è oggi la manifestazione più visibile ma a ciò si aggiunge la perdita da parte del governo del comportamento del parlamento dibattito che ha provocato vessazioni da parte dell’Emiciclo. La politica legislativa è diventata irregolare e disordinata, portando a una pletora di leggi e talvolta senza effetti pratici. Un’altra causa è la perdita di controllo sul calendario parlamentare. Potremmo allungare questo elenco che mostra come un governo sia oggi in continua lotta con il Parlamento, anche quando controlla la maggioranza.

È sul piano delle pratiche politiche che il sistema del nostro regime ha sofferto di più. L’assenza di ricorso al referendum dal 2005 ha prodotto una sfiducia reciproca tra il presidente della Repubblica e il popolo francese, frustrato per non essere consultato su questioni importanti (salute, immigrazione, sicurezza, leggi sociali, ecc.). E non è il “Referendum di iniziativa comune”questo inganno costituzionale che fa credere che il popolo possa prendere l’iniziativa, che è arrivato a calmare l’amarezza popolare.

Soprattutto, è il presidente onnipotente e onnipresente che sta destabilizzando profondamente il sistema. Il presidente, dal settennio Giscard, si lascia coinvolgere in tutto, ha opinioni su tutto, si trasforma in capo del governo e scende nell’arena politica, perdendo la visione a lungo termine e affrontando ogni vento contrario.

Dai referendum persi agli scioglimenti falliti, i presidenti che si sono succeduti non hanno tratto le logiche conclusioni del sistema costituzionale gallico: la loro partenza attraverso le dimissioni immediate.

Guillaume Drago

Del resto, l’attuale Presidente della Repubblica è oggi direttamente all’origine dell’instabilità istituzionale che ha contribuito a creare attraverso un prematuro scioglimento. E i risultati delle elezioni legislative hanno mostrato come le tendenze politiche siano in piena riorganizzazione, come ovunque in Europa, rafforzando questa instabilità istituzionale e politica.

Le modalità per ripristinare la stabilità delle nostre istituzioni riguardano alcuni punti essenziali. Il primo è un ritorno ai fondamenti della Quinta Repubblica: presidente-arbitro e governo autonomo, responsabile della gestione della cosa pubblica una volta delineate le linee generali da parte del presidente. Il secondo punto potrebbe portare al ritorno al mandato di sette anni, garanzia di durata costituzionale per il capo dello Stato.

Infine, la riforma del metodo di voto è l’elemento principale che mancava nel testo costituzionale del 1958, perché le circostanze dell’epoca non lo consentivano. Tuttavia Michel Debré avrebbe voluto inserirlo: il voto a maggioranza uninominale, “Stile inglese” consentirebbe di raggiungere un’ampia maggioranza, necessaria per governare e che porti alla formazione di un bipartitismo moderato, rimandando gli estremi ai loro… progetti estremi. Questo metodo di voto deve essere inserito nella Costituzione per completare l’opera costituzionale ancora imperfetta. E, ovviamente, dobbiamo anche respingere il voto proporzionale, una frammentazione a lungo termine della vita politica che sarebbe un altro chiodo sulla bara della Quinta Repubblica.

La questione ultima e principale è quella della legittimità del Presidente della Repubblica. Dai referendum persi agli scioglimenti falliti, i presidenti che si sono succeduti non hanno tratto le logiche conclusioni del sistema costituzionale gallico: la loro partenza attraverso le dimissioni immediate. Tuttavia, essendo le loro decisioni una ricerca di nuova legittimità, se questa fosse loro rifiutata, la loro partenza sarebbe in linea con la logica del sistema. Senza un governo accettato dall’Assemblea nazionale, e senza altra soluzione né possibilità di rappresentarsi per riconquistare una nuova legittimità, l’attuale ospite dell’Eliseo dovrà decidere di andarsene. La logica delle istituzioni incontrerà qui la volontà dei francesi.

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