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INTERVISTA – Il 4 dicembre 1999, Françoise perde suo figlio nell’esplosione del palazzo dell’Avenue Eiffel a Digione

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Françoise Bonin ha perso suo figlio Arnaud, 18 anni, il 4 dicembre 1999 nell’esplosione del palazzo al 145 di avenue Eiffel a Digione. 25 anni dopo, ritorna a questo dolore ancora vivo e alla sua lotta per non dimenticare mai le vittime.

Il 4 dicembre 1999 alle 23:45 l’edificio al 145 dell’avenue Eiffel a Digione crollò a seguito di un’esplosione di gas.. La tragedia provocò 11 morti compreso Arnaud, figlio di Françoise Bonin. Ospite di Bleu Bourgogne 25 anni dopo, ha parlato del suo dolore ancora vivo e della sua lotta con le altre famiglie delle vittime per non dimenticare mai questo drammatico evento.

“Mi incolpererei tutta la vita per non aver potuto dire addio a mio figlio”

France Bleu Bourgogne – Come ti senti questa mattina? Come stai ?

Françoise Bonin: Come ogni madre che ha perso un figlio, diremo, in tragedie del genere. E dirmi questo, doppia cosa, la mia sofferenza personale e il fatto di dirmi che tali esplosioni continuano ad esistere.

Come sei venuto a conoscenza della morte di tuo figlio?

Quindi, in un modo orribile. La cosa più orribile che potesse accadere. L’ho saputo tramite una telefonata di un agente di polizia che ce lo ha raccontato freddamente, convinto che lo sapessimo già. Fu mio marito in quel momento a rispondere e pensò che fosse uno scherzo. Quindi, dicendogli, no, ma basta la battuta, passami Arnaud. Ebbene, si scopre che avevo comprato il giornale, avevo visto che c’era stata un’esplosione. Allora ho detto no, ma passami oltre. E in effetti, l’abbiamo imparato così. In effetti, ci è stato chiesto di andare sulla scena. E non lo so nemmeno perché, beh, Didier non sapeva guidare, mi sono messo al volante essendo di Digione, non so nemmeno come sono arrivato all’Avenue Eiffel. Penso che abbiamo fatto tutta Digione, perché non sapevo nemmeno più come andare. Ero un automa al volante. E quando siamo arrivati ​​lì, non c’era nessun appoggio, completamente perso, in mezzo alla gente, non ci lasciavano avvicinare, perché c’era, cosa normale, un cordone di polizia, ma non potevamo non arrivarci spiegare, ma siamo genitori.

Quel momento è stato doloroso, e anche il resto, non potevi dire addio a tuo figlio.

Questo era il grosso problema. Per me è la cosa peggiore, comunque, fino alla fine dei miei giorni, ne darò la colpa a me stesso. E questo, fin dal primo giorno. Sì, sono stato stupido a credere a quello che mi è stato detto, visto che ci hanno chiesto di riconoscere i corpi, ma erano tutti in fila uno accanto all’altro, è stato orribile. E lì abbiamo visto Arnaud ma a malapena, non so nemmeno se sono bastati uno o due minuti per dire di sì, è sicuramente Arnaud. Didier ha avuto la buona idea di non ascoltarli e di baciarla. Io stupidamente, insomma, non sappiamo nemmeno in che stato siamo, sono uscito perché dovevamo far entrare i successivi e quindi eccolo lì, non ho avuto il riflesso di baciarlo e noi non è mai più stata vista perché infatti si sono dimenticati di dirci ancora che le autopsie erano finite quindi infatti ce l’hanno restituita solo per il funerale e per una mamma non l’ho salutata.

Come sei stato sostenuto dopo questa tragedia? È perché è mancato il sostegno che avete creato l’associazione?

Sì, assolutamente. Perché già avevamo un accordo tra le famiglie, visto che ovviamente siamo stati contattati. Quindi all’inizio abbiamo sentito tutto, che ovviamente erano stati i giovani a far saltare in aria l’edificio. Alla fine abbiamo ascoltato tutte le versioni possibili. E quello che volevamo era che la GDF venisse processata, cosa che non era mai stata fatta prima. Siamo stati i primi a farlo, perché ovviamente ci hanno offerto delle tangenti, ma questo era fuori discussione. Con le famiglie eravamo molto uniti e abbiamo deciso di formare un’associazione, cercando tutti di distribuire un po’ i ruoli, perché c’erano cose che non sapevamo veramente. Abbiamo deciso di dividerci un po’ per competenze, erano gli albori dell’informatica, quindi abbiamo passato giorni e notti in pile di documenti, ognuno prendendo un po’ della sua specialità ma lavorando sempre insieme. François si è approfondito in tutto ciò che era tecnico, con Sylvie siamo entrati anche di più nella parte tecnica dato che abbiamo visitato una fabbrica perché era molto facile per GDF usare termini ipertecnici soffocandoci completamente.

Hai dedicato la tua vita all’associazione.

Sì, assolutamente, è così. In ricordo di mio figlio e delle altre vittime, con il sostegno dell’associazione. E poi, se posso permettermi, quello che non dobbiamo dimenticare è stato l’aiuto che abbiamo ricevuto dai lavoratori del gas. Perché non dobbiamo dimenticare che gli stessi lavoratori del gas hanno paura di questi dannati tubi. Temono per la propria vita e infatti sono venuti ad aiutarci enormemente, così come hanno mandato al processo uno dei loro avvocati, che è stata la nostra forza.

Così il processo si è svolto nel 2006. Gaz de France è stato riconosciuto colpevole di omicidio e lesioni colpose, condannato a una multa di poco più di 200.000 euro. L’esplosione, dice la giustizia, è dovuta ai tubi a fondo grigio, all’epoca ancora molto utilizzati, anche se non conformi. Ha aiutato a cambiare le cose oppure no? Ci furono altre esplosioni dietro…

COSÌ. Quindi ci sono già diverse cose, una cosa che mi permetto di rimettere a posto, è che molti, per convinzione, pensavano che i soldi fossero destinati a noi. Quindi questi soldi, ovviamente, non sono andati alle famiglie, sono andati allo Stato. Mettiamoci già d’accordo su questa enorme somma. Ma per noi ciò che veramente ci interessava era la convinzione e di dire che, beh, avremmo salvato altre vite. Quindi, visto che la GDF era stata condannata a cambiare tutte le tubature in background, sapendo che oltre alla loro mappatura è falsa, quindi anche a rimetterla in carreggiata, per ordine, visto che stiamo per dire che la Francia è un po’ una bomba, tutt’intorno. E purtroppo per noi, quello che non avevamo previsto è che alla fine di ogni mandato presidenziale ci siano delle amnistie. E quella GDF, che all’epoca ne aveva bisogno per questioni finanziarie, ha beneficiato di un’amnistia. Quindi abbiamo cancellato questo processo dai loro archivi.

Come vive oggi la vostra associazione, 25 anni dopo?

La nostra associazione sta diventando difficile perché purtroppo siamo rimasti solo in due. Voglio anche rendere omaggio a tutti coloro che da allora ci hanno lasciato. Poiché infatti da 25 anni, soprattutto tra i genitori, si registrano morti, anche in altre famiglie. E soprattutto è difficile per noi perché ci diciamo che abbiamo lottato in tutti questi anni e che non abbiamo impedito altre esplosioni. In particolare Mulhouse che festeggerà a sua volta il suo 20° anniversario, anche in questo momento Parigi, Marsiglia, tutti questi posti. Ogni volta che sento “esplosione di gas” in TV, anche se è una bombola di gas, voglio dire… è un dolore, è una sofferenza. Non è nemmeno questo, non respiro più e incolpo me stesso, incolpo me stesso perché mi dico… È colpa nostra. Non siamo riusciti a cambiare i tubi.

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