Con l’imminente raggiungimento dei principali obiettivi tattici, l’avvicinarsi dell’inverno, la necessità di rinnovare l’arsenale, l’esaurimento delle truppe che hanno combattuto per molti mesi, è tempo di capitalizzare i successi militari dell’IDF e di prendere in considerazione un cessate il fuoco negoziato soluzioni. I risultati ottenuti sul terreno devono essere consolidati da misure di sicurezza e meccanismi amministrativi che garantiscano che le fazioni terroristiche non possano riarmarsi o ridispiegarsi e che venga trovata un’alternativa per gestire le aree da loro controllate.
A Gaza questo problema avrebbe dovuto essere affrontato mesi fa. Sarebbe stato necessario prevedere lo sviluppo di un apparato di sicurezza locale o internazionale responsabile del mantenimento dell’ordine e un nuovo regime amministrativo per la gestione della Striscia di Gaza. Oggi, purtroppo, ovunque l’IDF si ritiri, Hamas riprende il potere. Tuttavia, è fuori questione prendere in considerazione un’occupazione militare a lungo termine. Sarebbe impantanato. L’esercito sta rafforzando le sue posizioni lungo gli assi Filadelfia e Netzarim per poter intervenire rapidamente in caso di necessità, senza lasciare forze significative sul terreno.
Contrariamente al parere degli esperti strategici, alcuni membri del governo sostengono il ripristino degli insediamenti ebraici in vista di una possibile annessione dei territori. E quindi un ritorno alla situazione precedente all’evacuazione israeliana di Gaza ordinata dal primo ministro Ariel Sharon nel 2005. E alla quale Benjamin Netanyahu si oppose fermamente al punto da dimettersi dal governo. Finora non è stata adottata alcuna risoluzione in una direzione o nell’altra, creando un vuoto disastroso a vantaggio del nemico, mentre sul tavolo ci sono proposte, provenienti da americani, paesi arabi e persino da società private, che permetterebbero a Israele chiudere la porta su Gaza e buttare via la chiave. È importante notare che i capi dell’IDF e dello Shin Beth avvertono che qualsiasi continuazione dell’offensiva a Gaza mette in pericolo la vita degli ostaggi tenuti nelle ultime roccaforti di Hamas.
Per quanto riguarda il Libano meridionale, un cessate il fuoco sembra non solo possibile ma auspicabile nella misura in cui una guerra di logoramento prolungata farebbe il gioco di Hezbollah. Anche in questo caso è giunto il momento di pianificare un ritiro dell’IDF per evitare che le truppe rimangano bloccate in pieno inverno. Ma soprattutto per approfittare dell’indebolimento della posizione politica di Hezbollah in Libano e delle istruzioni di Teheran di non intensificarsi. L’Iran teme che il suo principale “delegato” venga ridotto a nulla. Anche in questo caso, se si raggiungesse un accordo tra Beirut e Gerusalemme, sarebbero necessarie garanzie regionali e internazionali. Altrimenti sarà fuori questione aspettarsi che decine di migliaia di cittadini israeliani evacuati dalla zona di pericolo accettino di ritornare alle loro case.
Anche Giudea e Samaria chiedono che le decisioni siano prese con urgenza. Decine di battaglioni israeliani sono mobilitati lì, anche se destinati ad operare su altri fronti. Alcuni ministri spingono per una pura e semplice annessione dei territori mentre altri sono favorevoli ad un rafforzamento dell’Autorità Palestinese, e addirittura al ritorno della sua egemonia su Gaza, a condizione che i leader dell’OLP e di Hamas siano estromessi a vantaggio della una nuova generazione, più tecnocratica o da personalità più capaci di far rispettare l’ordine, come Mohamed Dahlan. .
Anche in questo caso, tutto è bloccato a livello politico, il che costringe i militari a continuare una campagna quotidiana senza fine, senza alcuna visione strategica che specifichi l’obiettivo a lungo termine. I servizi di sicurezza e difesa israeliani lavorano nell’oscurità, seguendo le loro scelte professionali. Queste scelte non sono necessariamente in linea con quelle che farebbe il governo. Ma il governo non ha tracciato una linea guida, né definito una direzione chiara riguardo alle sue intenzioni, lasciando una nebbia incombente sul futuro della sicurezza della nazione.
L’ultimo grande pezzo è l’Iran. È chiaro che i successi dell’IDF hanno completamente cambiato l’equazione strategica in Medio Oriente. Teheran contava su Hezbollah e Hamas per una possibile offensiva di massa contro Israele. È un fallimento. Per quanto riguarda gli Houthi nello Yemen, sono sotto il fuoco di una coalizione internazionale. Resta la questione se colpire ancora più duramente l’Iran o lasciarlo così per ora. Chi deciderà? Il governo ascolterà i militari? Sarebbe un bene per loro visto che sono loro che hanno pianificato, montato e guidato le spettacolari vittorie degli ultimi mesi. Ma possiamo dubitarne vedendo il Primo Ministro licenziare il ministro della Difesa, Yoav Gallant, dalle sue funzioni e sostituirlo con un politico poco qualificato per l’incarico.
A proposito di qualificazione, è infatti importante sapere con chi negozierai il giorno successivo. È un peccato che i regimi e i leader con cui Israele deve confrontarsi siano corrotti, dittatoriali o instabili. Insomma, per niente affidabile. Impossibile fidarsi di Hamas. Non sappiamo nemmeno chi, all’interno di questa fazione allo sbando, sia autorizzato a ratificare e poi far rispettare un accordo. I leader di Gaza, rintanati nei tunnel? O quelli che oziano nei palazzi di Istanbul e Damasco? Idem per Hezbollah. E anche per un governo libanese disfunzionale che potrebbe cadere da un giorno all’altro.
Da qui l’assoluta necessità del coinvolgimento delle nazioni normative, americane ed europee in testa, affinché si assumano le proprie responsabilità riguardo alla stabilità del prossimo futuro in Medio Oriente. È anche nel loro interesse economico ed energetico. Per non parlare del loro obbligo morale e umanitario. Non possiamo, tuttavia, aspettarci che Israele controlli l’intera regione e argini da solo l’ondata jihadista.
Molteplici domande rimangono senza risposta. Cosa farà Donald Trump? O anche suo genero, Jared Kushner? Cosa decideranno i cinesi? In quale campo andrà MBS? Chi succederà ad Abu Mazen e Khamenei? Ma tre fattori sono sicuri e certi. Non si dovrebbe prendere in considerazione o negoziare nulla finché non verranno rilasciati gli ostaggi israeliani del 7 ottobre. In secondo luogo, il giorno dopo è tardi per l’appuntamento. Quindi è ora o mai più. E infine, se le modalità non sono ben congegnate e il nemico riprende slancio mentre il resto del pianeta incrocia le braccia, è probabile che il giorno dopo diventi il giorno prima. Prima del conflitto diffuso. E forse anche globale.
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