Ciò non è ovvio alla luce degli ultimi attacchi israeliani. Almeno dieci morti ieri, tra cui il principale portavoce di Hezbollah, Mohamed Afif, figura familiare all’interno del movimento sciita. E Beirut è stata colpita nuovamente questo lunedì sera. Si sono sentite due forti esplosioni nel centro della città. Ci sarebbero almeno quattro morti.
Da poco più di una settimana Israele ha intensificato la sua campagna di bombardamenti. Ma dietro le quinte le trattative procedono.
Gli americani hanno inviato alle autorità libanesi un piano di cinque pagine e tredici punti. Il testo prevede in particolare una tregua di 60 giorni e lo spiegamento dell’esercito nel sud del Libano. Come al solito, il capo del Parlamento Nabih Berri svolge il ruolo di intermediario con i suoi alleati Hezbollah.
Negli ultimi giorni si è verificato un cambiamento importante: Hezbollah ora accetta di dissociare la guerra a Gaza dal conflitto con Israele. Non chiede più la fine delle ostilità nell’enclave palestinese prima di discutere una tregua. È così dall’8 ottobre 2023, il giorno dopo l’attacco di Hamas e l’inizio della risposta israeliana.
Questo è fondamentale perché la speranza di un cessate il fuoco a Gaza è attualmente molto scarsa. Benjamin Netanyahu chiaramente non vuole un accordo di “tregua per gli ostaggi” che metterebbe a repentaglio la sua coalizione. I ministri di estrema destra potrebbero lasciare il suo governo. Il leader israeliano, invece, è più disponibile a firmare la pace in Libano.
Israele potrebbe voler aspettare fino all’insediamento di Trump
Inoltre, Hezbollah ha subito un’offensiva senza precedenti dopo gli attacchi al cercapersone di due mesi fa ma, nonostante la perdita di numerosi dirigenti, i canali di discussione rimangono aperti. Gli scambi con Hamas nella Striscia di Gaza sono molto più laboriosi.
A Washington, comunque, non crediamo più nel progresso di Gaza. L’amministrazione Biden preferisce concentrare i propri sforzi sul Libano. È l’unica speranza di salvare un po’ il proprio bilancio in Medio Oriente. Il suo inviato speciale Amos Hochstein sarà domani a Beirut per una nuova visita.
Con un rischio per Biden e i democratici: Israele potrebbe essere tentato di aspettare l’insediamento di Donald Trump il 20 gennaio per offrire al repubblicano un successo diplomatico al suo ritorno alla Casa Bianca.
Resta un grosso ostacolo da superare per convalidare questo accordo. Come è stato detto, Hezbollah è pronto a fare concessioni. Sarebbe disposto a ritirare le sue truppe dal Libano meridionale, in conformità con la risoluzione 1701 delle Nazioni Unite che ha posto fine alla guerra del 2006.
Ma su un punto il movimento sciita non vuole cedere: la richiesta da parte di Israele di agire come desidera se Hezbollah dovesse rompere l’accordo e tentare il riarmo. Questo è il principale punto critico del momento. Netanyahu ha appena dichiarato lunedì sera che Israele continuerà a condurre operazioni contro Hezbollah, anche in caso di accordo.
Sullo sfondo si aggiunge la crisi umanitaria in Libano. Quasi un milione e mezzo di sfollati in un Paese già sottoposto alla respirazione artificiale. Con nuove tensioni tra pro e anti-Hezbollah. Il Libano non vuole essere costretto a firmare un accordo con una pistola puntata alla tempia e nel timore di nuove operazioni israeliane.
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