Quindi sono passati quasi 1.000 giorni da quando la Russia ha attaccato l’Ucraina. Nessuno ha dimenticato quella notte di febbraio 2022 in cui Vladimir Putin ordinò l’invasione del suo vicino occidentale, l’avanzata fulminea dei suoi uomini attraverso il Paese e la paura che ne nacque: la guerra era tornata in Europa. Quasi tre anni dopo, al fronte continuano i combattimenti quotidiani mentre, dietro, gli ucraini soffrono sempre più le conseguenze di una guerra di cui nessuno vede l’esito.
È in questo contesto che lo stesso presidente Zelenskyj ha sollevato, qualche giorno fa, la possibilità di porre fine alla guerra attraverso la diplomazia. Ha così promosso ancora una volta il suo piano di pace, proposto da diversi mesi, in condizioni ritenute inaccettabili da Mosca. Allo stesso tempo, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha annunciato di aver parlato con il presidente russo. Una prima volta da mesi per un leader occidentale, che ha preoccupato anche l’Ucraina. “Senza Kiev non si deciderà nulla”, Berlino ha reagito immediatamente.
Sappiamo che questa via diplomatica è stretta e che una pace negoziata non deve sfociare nell’annessione di una parte del paese da parte della Russia. Spetta agli ucraini, paese aggredito e impegnato in una guerra giusta, definire a quali condizioni questa pace dovrà essere negoziata con Mosca. Ma possiamo rallegrarci che si parli di questa possibilità, più volte invocata da Papa Francesco. Il presidente ucraino aveva anche chiesto in ottobre il sostegno diplomatico della Santa Sede per facilitare il rimpatrio degli ucraini detenuti da Mosca. La comunità internazionale deve sostenere questo processo volto a porre fine alla violenza. E impedire che sangue e lacrime scorrano ancora per molto.
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