Con questo titolo, una recensione di un’opera apparsa su L’Orient littéraire nel settembre 2024: Sion sarà una celebrazione o non lo sarà. Una riflessione sulla guerra di Gaza, sulle origini di Israele e sulle catene della sofferenza (Paris Ganse, 2024). L’approccio del libro e della sua recensione, ponendo al centro la questione del futuro del sionismo, dopo la campagna israeliana a Gaza, offre l’opportunità di una ripresa. Non possiamo, infatti, parlare oggi di questa guerra senza sollevare la questione della sua genesi e della sua legittimità; e soprattutto senza chiedersi se la scelta fatta di ripristinare la deterrenza israeliana attraverso le carneficine non abbia intaccato questa stessa legittimità. Possiamo, certo, avere diritti perfettamente legittimi su una cosa e sulla sua conservazione, ma questi possono essere compromessi, o addirittura perduti del tutto, “a causa di un grande crimine”, come dice Littré spiegando l’uso aggettivale della parola.
Ho mostrato nell’opera in questione come in Occidente si sia instaurato un evidente filosionismo a partire dagli anni Cinquanta, creando quello che ho chiamato “sionismo felice”. Questo concetto, secondo me, è fondamentale – e persino ironico. Permette di ricostruire le false prove che hanno sostenuto il filosionismo generalizzato dell’Occidente per un periodo molto lungo. Non c’è nulla di virtuoso in questo sionismo e non c’è motivo di esserne nostalgici. Tutta l’analisi del secondo capitolo mostra con grande rigore che nessun sionismo, felice o meno, umanista o revisionista, può essere teoricamente fondato sulla giustizia e sulla verità; che se oggi vogliamo sostituire tale fondazione, dobbiamo chiedere allo Stato sionista di rinnovarsi ideologicamente e di riformulare il suo progetto fondativo nel “salto di fede” (saltus fidei) che ne è stato autenticamente l’origine. Questo sionismo dei primi anni della sua concezione e della sua realizzazione non poteva che essere legato al desiderio di una presenza ebraica in Palestina che professasse il primato e l’incondizionalità dei diritti nazionali dei primi abitanti del paese. Il diritto di presenza ebraica non poteva quindi che essere secondo e relativo al primo, in questo quadro che garantisce la giustizia dell’impresa.
Il problema del sionismo dopo la guerra di Gaza è che la guerra ha seriamente minato ogni pretesa dello Stato ebraico sulla legittimità della sua fondazione. Gli israeliani hanno infatti creato a Gaza un fatto o un “atto eterno”, si potrebbe dire, prendendo a prestito il concetto dal buddismo. Gli atti, nel Buddismo, non attraversano il presente e la sua memoria per annientarsi con esso: restano efficaci indefinitamente. Fanno parte del mondo, fino alla fine dei suoi cicli di reincarnazione ed espiazione.
Dimentichiamo gli aspetti religiosi del concetto e ricordiamo solo che una guerra unilaterale di distruzione di massa che prende di mira una popolazione civile priva di ogni protezione inscrive nella loro memoria una ferita che rimane aperta per molto tempo. La Shoah iscritta nei corpi degli uomini e delle donne che l’hanno vissuta e nella memoria dei sopravvissuti, dei carnefici, dei testimoni e di quanti sono rimasti fuori dall’ambito immediato del suo evento, un segno che sempre accuserà le forze del male che l’hanno portata avanti. il grande massacro. L’attuale campagna di Gaza resterà profondamente attiva nella memoria e nella coscienza non solo delle sue vittime, ma di centinaia di milioni di persone che sono loro alleate per sangue, cultura e religione, così come di tutte le sensibilità che, in Occidente, hanno reso possibile la loro conversione da un evidente filo-sionismo ad una sincera empatia con la difficile situazione palestinese.
La campagna israeliana a Gaza costituisce quindi un fatto enorme che l’evoluzione della situazione, la fine delle ostilità, il passaggio a configurazioni completamente nuove degli eventi attuali non verranno eclissati. Questo fatto non porterà presto una recessione al di fuori del presente ad aggiungersi agli stati raffreddati, temporanei e inefficaci di tanti altri confronti che hanno segnato la storia della regione. Si forma come una massa molare di grandissima gravità che le forze combinate di tutti i possibili attori non potranno spostare dal centro della coscienza vivente di questo conflitto assiale. Si rifletterà sempre come un male che richiede riparazione. A differenza dei genocidi armeni ed ebrei del XX secolo che, anche se sono rimasti invendicati fino ad oggi, non richiedono più ritorsioni né reali cambiamenti nella storia, essendosi trasformati in fatti commemorativi fondanti per l’intera razza umana, la guerra totale a Gaza esigono sia un riconoscimento morale della gravità del suo attacco all’umanità, sia un impegno dell’opinione mondiale e delle istituzioni per sanare efficacemente la lunga resistenza di un popolo che l’ingiustizia ha continuato a ferire.
Con questo titolo, una recensione di un’opera apparsa su L’Orient littéraire nel settembre 2024: Sion sarà una celebrazione o non lo sarà. Una riflessione sulla guerra di Gaza, sulle origini di Israele e sulle catene della sofferenza (Paris Ganse, 2024). L’approccio del libro e della sua recensione, ponendo al centro la questione del futuro del sionismo, dopo la campagna israeliana…
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