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La speranza della vita eterna è diventata un tabù nella nostra società occidentale contemporanea?

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Lo scorso fine settimana ho trovato nella stampa fiamminga alcune testimonianze emozionanti di persone malate, in punto di morte. Nelle loro osservazioni, l'aldilà è stato menzionato brevemente, ma quasi immediatamente respinto. Non è improbabile, addirittura inimmaginabile, che ogni uomo, individualmente, possa essere salvato da un Dio misericordioso?

La speranza del passato viene sostituita da una speranza meno ambiziosa, ovvero la speranza di morire circondati dai propri cari, avendo avuto l'opportunità di salutare tutti in una cornice di serenità, armonia e accettazione dell'inevitabile morte.

Cosa ci succede quando moriamo?

Possiamo rallegrarci di questo sviluppo, ma possiamo anche rammaricarcene. Esaminiamo entrambe le strade.

È del tutto legittimo applaudire al trionfo della ragione che, certo, non può contraddire l'esistenza di un aldilà, ma che non sarà mai capace di fornirne la prova. Gli eredi dell'Illuminismo preferiscono la certezza, il metodo scientifico, le prove e le cifre. In un contesto del genere, la morte definitiva presenta più vantaggi rispetto all’aldilà, per il quale le testimonianze oculari rimangono molto scarse. Rendere quanto più bella possibile la morte certa è, da questo punto di vista, un atteggiamento più razionale e saggio rispetto a quello di scommettere su un aldilà incerto e impossibile da descrivere concretamente. Nel frattempo possiamo ammorbidire la morte come fine definitiva, rafforzando il momento dell’addio. Possiamo consolarci con l'idea che i defunti continuano a vivere nella memoria dei loro cari o nella vita dei loro figli. Ma cosa ricordiamo della vita, e soprattutto delle idee, delle paure e dei sogni dei nostri antenati di qualche secolo fa? Insomma, la ragione ha indubbiamente bisogno di qualche consolazione, ma resta irremovibile nella sua conclusione: la morte è la fine.

Tuttavia, è del tutto possibile rimpiangere questo cosiddetto percorso razionale. Certamente esclude facili speculazioni. Non lascia spazio alle ingiustizie terrene, accettate nella speranza di una vita eterna lontana. Questo è tutto vero. Ma l’assenza di ogni attenzione a ciò che è al di là di noi, a ciò che è trascendente, porta anche a un mondo che, nel suo razionalismo contrattuale, rischia di innescare sulla sua scia un moralismo crudele e intransigente, individuando ogni volta colpevoli e vittime. le sanzioni e gli indennizzi, pesati su una bilancia, senza spazio di interpretazione.

“Quando invitiamo il Papa, dobbiamo avere la delicatezza di non imporgli come unica verità le opinioni dell’Occidente secolarizzato”

La trascendenza ci aiuta ad accettare, ma allo stesso tempo a superare, il razionalismo puro e semplice. Si comincia accogliendo e stimolando il progresso scientifico. Poi si apre a territori sconosciuti, a sogni a volte taciti, a speranze più profonde. L'arte, l'amore, la bellezza vanno oltre la semplice conoscenza.

Ciò vale anche per l’etica. Quando rimane saggia e razionale, non supererà il limite fai ut des, reciprocità, nel senso di 'ti tratterò come tu tratti me'. Tutto è calcolato, tutto è così giusto da diventare disumano. Una morale aperta alla trascendenza comprende anche la misericordia, la generosità, la donazione e il perdono, l'imprevedibile e l'inimmaginabile, la salvezza nonostante tutto.

Vedo un parallelo tra l’uomo che si decide accettando la morte come definitiva, rifiutando una speranza più profonda, e lo stesso uomo che costruisce un’etica razionale e calcolata senza spazio per la misericordia e il perdono.

E mi chiedo, senza conoscere la risposta, se esista un nesso tra l’abbandono della speranza della vita eterna e l’etica occidentale contemporanea, fondata sulla giustizia calcolata e sulla reciprocità contrattuale.

⇒ Titolo e capitolo editoriale. Titolo originale: “Vita e speranza”

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