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“Quando una fattoria scompare, non vince nessuno”

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Video. In conflitto con i vicini, un allevatore di mucche si trasferisce

Marion Debats, contadina del nord del Lot-et-Garonne, si è trasferita dopo diversi anni di tensioni con i suoi vicini. Denunciano continui fastidi – soprattutto olfattivi – e il mancato rispetto delle regole di buon vicinato, quando lei denuncia un’intolleranza al mestiere di allevatrice di bestiame.

Il forte canto del gallo, gli odori, la presenza di mosche… Sono sempre più numerose le chiamate contro i contadini dei loro vicini. Perché la convivenza con l’agricoltura nelle zone rurali è oggi più difficile di ieri?

Ieri gran parte della popolazione francese era rurale o proveniva dalle zone rurali; si conoscevano quindi le realtà del mondo agricolo. Oggi la gente vive in città e viene in campagna nei fine settimana perché la trova bellissima. Oppure decidono di stabilirsi lì perché lì gli immobili sono più accessibili. Ma per loro è un ambiente, con una natura idealizzata. Non sanno che dietro il tessuto scozzese dei campi, le ariose foreste dai bellissimi sentieri, i prati fioriti, e perfino i sentieri e i ruscelli, c’è il lavoro dei contadini. Molti hanno conservato una visione bucolica delle aziende agricole di un tempo e non conoscono più tutti i vincoli necessari oggi affinché l’attività agricola sia redditizia e conforme agli standard. Non conoscono la realtà delle infestazioni.

Nell’aprile 2024 è stata promulgata una legge volta a limitare le controversie tra neo-rurali e agricoltori. Ma questi sono i comportamenti che devono cambiare: sostengo l’istituzione di un “servizio civico agricolo”, in modo che tutti, dagli insegnanti ai funzionari eletti, passando i giovani che vogliono impegnarsi in nobili battaglie, capiscono cosa significa oggi nutrire i propri concittadini, conciliando quantità, qualità, redditività e, ovviamente, rispetto della natura.

Il Covid, che ha accentuato un esodo urbano, non è responsabile di questo stato di cose?

La pandemia, con le restrizioni, ha creato il desiderio di una campagna. Per due anni i cortocircuiti e le scorte agricole hanno funzionato bene. C’era una mania per il biologico. Ma tutto questo non è durato a causa dell’impennata dei prezzi, che sta spingendo molte famiglie verso gli sconti alimentari. Alla fine, l’esodo urbano si è rivelato limitato: i residenti neo-rurali devono far fronte a scarse connessioni Internet, alla lunghezza dei viaggi e alla mancanza di servizi.

L’area periurbana è diventata più densa ed è diventata uno spazio di tensione, dove la presenza delle aziende agricole non è necessariamente ben percepita, anche quando l’agricoltore è biologico, anche quando era lì prima della lottizzazione. Le campagne, come i boschi, sono diventate spazi ricreativi dove la natura dovrebbe appartenere a tutti, il che è falso. Gli agricoltori soffrono dello scarico illegale dei rifiuti e dell’atteggiamento aggressivo di alcuni escursionisti, che credono di sapere meglio cosa è bene per la natura.


Sylvie Brunel ha pubblicato numerosi lavori scientifici e romanzi

COSÌ

L’unica via d’uscita da questa impasse è lo scambio, la comprensione, il dialogo”

Il Lot-et-Garonne è un dipartimento molto agricolo, caratterizzato da una presenza sindacale molto forte. Come conciliare, in questo dipartimento, nuovi desideri residenziali e attività agricole?

C’è un paradosso nel Lot-et-Garonne, che è davvero il giardino della Francia, con molte aziende agricole biologiche, produzioni varie e di qualità che gli abitanti delle città adorano, come fragole, prugne, nocciole, buoni vini, allevamenti esigenti. Quindi tutto dovrebbe andare bene. Ma è il contrario: il mondo agricolo soffre, con entrate a mezz’asta, difficoltà di accesso all’irrigazione, pur essenziale per frutta e verdura, allevamento, sementi, con estati sempre più secche e calde.

Il divieto dei prodotti per il trattamento, indispensabili di fronte alla pressione degli insetti, e di cui si avvale il resto d’Europa, crea importazioni sleali, distorsioni della concorrenza, per drupacee, fragole, nocciole, mettendo in pericolo interi settori, e quindi la ricchezza, i paesaggi e le lavori che li accompagnano. Quando un’azienda agricola scompare, non ci guadagna nessuno: sono i terreni incolti che si insinuano, i paesaggi si chiudono, la boscaglia facilita l’insorgere degli incendi. L’unica via d’uscita da questa impasse è attraverso lo scambio, la comprensione e il dialogo. Quelle che io chiamo le 5 R: incontro, rispetto (per il lavoro agricolo), riconoscimento (per gli sforzi intrapresi per produrre sempre più verde), riconciliazione e, naturalmente, remunerazione dignitosa.

Gli agricoltori svolgono una professione di interesse generale, dovremmo dare priorità al mantenimento delle aziende agricole vitali ed efficienti”

In molti dei tuoi lavori menzioni la priorità di “coltivare la necessità”. Puoi espandere?

Non dobbiamo credere che la fame sia una cosa del passato. Gli anziani ricordano ancora di aver stretto la cinghia durante la Seconda Guerra Mondiale e dopo, ma questa realtà non è scomparsa: due miliardi di persone vivono nell’insicurezza alimentare, anche in Europa. In Francia, più di 9 milioni di persone vivono al di sotto della soglia di povertà. Le organizzazioni umanitarie sono sopraffatte dalle richieste e l’arrivo dell’inverno aggraverà il disagio, spesso silenzioso.

Sostenere un’agricoltura forte ed efficiente, attraverso un’ampia varietà di modelli che rendono ricco il nostro Paese, è una necessità non solo morale, ma strategica. Russia, America, Cina sanno che l’arma alimentare (e l’energia perché le due cose vanno di pari passo) guida sempre la geopolitica. La Francia ha ancora la possibilità di essere una grande potenza agricola, ma continua a declinare. I suoi produttori si stanno scoraggiando.

Un esempio: il mais, al quale ho dedicato un libro perché amiamo odiare questo cereale, nonostante sia il primo al mondo, per l’umanità e per il pianeta. L’Europa è, insieme alla Cina, il primo importatore mondiale. Sebbene la Francia rimanga il principale paese esportatore di sementi al mondo, i coltivatori di sementi non riescono più a far fronte a tutti i vincoli. Risultato: siamo passati da 100.000 ettari di sementi di mais a 80.000 ettari. Domani dipenderemo dall’orco russo o dallo zio Sam per nutrirci? Gli agricoltori svolgono una professione di interesse generale, dovremmo dare priorità al mantenimento delle aziende agricole vitali ed efficienti!

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