DayFR Italian

Morte di Simon Fieschi, nuova vittima del massacro di “Charlie Hebdo” – Libération

-

“Quel proiettile non mi ha mancato, ma non mi ha preso” ha voluto credere a Simon Fieschi alla sbarra della Corte d’Assise, il 9 settembre 2020. Quando si è fatto avanti per testimoniare, il suo corpo contuso ha ceduto un po’, ma il webmaster di Charlie Hebdo aveva rifiutato la sedia che gli era stata offerta. “Voglio testimoniare in piedi.” Nella redazione del giornale satirico, il suo ufficio era il primo che si incontrava aprendo la porta. Sarà il primo a cui spareranno i fratelli Kouachi al loro arrivo.

Il proiettile del Kalashnikov che gli ha attraversato il corpo il 7 gennaio 2015, entrando all’altezza del collo, perforandogli il polmone, toccandogli il midollo spinale ed uscendo all’altezza della scapola sinistra, non lo ha mancato. Alla fine l’ha preso anche lei. Quasi dieci anni dopo, l’uccisione di Charlie Hebdo Fece una nuova vittima: Simone Fieschi morì nella notte tra il 17 e il 18 ottobre. Aveva 40 anni.

“Dito medio”

Simon Fieschi ha perso 7 centimetri il 7 gennaio. E l’uso delle gambe e delle mani. Evacuato a Pitié-Salpêtrière, venne immerso in coma artificiale per una settimana. “Così ho scoperto l’attentato del 7 gennaio una settimana dopo, il 14 gennaio”. È sua madre a raccontargli al risveglio: l’omicidio, la caccia ai fratelli Kouachi, l’Hyper Hide, la marcia dell’11 gennaio. “Mi ci sono volute diverse ore per capire. Allora non riuscivo più a ricordare chi fosse vivo o morto. E ho avuto un sentimento di imbarazzo assurdo, non ho osato chiedere altro”. Il dolore fisico è così intenso che occupa tutto lo spazio. “Ha il bello di tenere a bada i problemi psicologici”. Tanto è vero, dice “la tristezza, la rabbia, queste emozioni sono arrivate molto più tardi”. Una volta superato lo stato di stupore.

Rimarrà a Les Invalides per otto mesi, riprendendo lentamente vita. Piano piano impara di nuovo a camminare, rassegnandosi a non riuscire più ad allacciarsi le scarpe da solo. “Ho perso l’opposizione nel mio pollice. Sembra stupido, ma non posso più fare il dito medio, a volte mi prude,” descriverà durante il processo.

Simon Fieschi ha raccontato i suoi lenti progressi Charlienell’ottobre 2020. In una storia lunga e agghiacciante, accompagnata dai disegni di Riss, ha raccontato in modo schietto la tortura delle sue settimane in ospedale – “Ho scoperto la sensazione di un osso rotto, di carne ferita, di un nervo che urla. Il dolore di essere installati male, che inizia come un leggero disagio e diventa insopportabile dopo poche ore” – e la paranoia che gradualmente lo invade – “Ero convinto di puzzare terribilmente e che nessuno potesse avvicinarsi a me senza vomitare o svenire, o che fossi una cavia tenuta in vita per terribili esperimenti”.

“Essere vittima di un attacco è un lavoro a tempo pieno.”

— Simon Fieschi

Se fumettisti e giornalisti riuscirono a donare la loro catarsi al disegno e alla scrittura, Simon Fieschi si investì nell’amministrazione, guidando la lotta per il risarcimento, diventando uno specialista in diritto delle lesioni personali. Con questa domanda: “Quanto vale quello che ti è successo?” ha spiegato su Inter, quanto vale il dolore, la prospettiva degli altri che è cambiata e “la sensazione di essere diventato un alieno”: “Essere vittima di un attacco è un lavoro a tempo pieno”.

Il suo lavoro era webmaster: nel 2015 si occupava del sito e dei social network di Charlie. Prima ancora, spiega la piccola biografia che accompagna i suoi articoli sul giornale, “aveva tentato di fare il poliziotto per rivolta adolescenziale, per far incazzare un padre comunista e un sessantottenne”. Amava Keith Jarrett, Gaston Lagaffe e Cioran. Era anche un rappresentante del personale. I suoi gatti si chiamavano Dupond e Dupont.

“Reazione animale”

Diciotto mesi prima dell’aggressione aveva incontrato Maisie, una giovane australiana che lavorava in Francia. Dopo l’attentato, Anne Hidalgo li sposò nel municipio dell’11° arrondissement. Questo è senza dubbio il motivo per cui questo padre di una bambina ha accettato di incontrare qualche giorno fa un giornalista australiano, al quale aveva confidato che finalmente poteva ricevere la sua pensione di invalidità. “senza troppi sensi di colpa”ammettendo di essersi talvolta chiesto cosa avrebbe potuto fare della sua vita senza essere un “parassita” per la società. Così è andato in giro per le aule, parlando di terrorismo con studenti a volte ignari dell’argomento, ricordando che gli studenti delle scuole medie di oggi erano solo neonati il ​​7 gennaio 2015, che avevano il diritto di ignorare e che noi avevamo il dovere di insegnare loro.

Nel racconto che scrisse nel 2020, Simon Fieschi confidò i pensieri più oscuri che lo avevano tormentato nella sua stanza d’ospedale. “Ho pensato molto in questo letto e ho capito che morire era la mia unica soluzione. Ma come? Impossibile suicidarsi, paralizzato su un letto di terapia intensiva e sotto costante controllo medico. Essere costretto a vivere mi sembrava una negazione intollerabile della mia libertà. Ho concluso che per riconquistare questa libertà dovevo prendermi il tempo, osservare e migliorare per avere finalmente l’opportunità di uccidermi”. Più avanti, però, scrive: “Nonostante il mio desiderio cosciente di smettere di vivere, ricorderò sempre la mia reazione animale e istintiva di insorgere con tutto me stesso contro la morte.” La vertigine che proviamo leggendo queste righe, a quattro anni dalla loro pubblicazione, a quasi dieci anni dall’attentato, è lì a ricordarci che le ferite, qualunque sia il tempo, non si chiudono mai.

Related News :