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Su richiesta di Washington, Israele promette di non colpire il petrolio e l’energia nucleare iraniani

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Si tratta di uno strano negoziato che si svolge dietro le quinte della guerra nel Vicino e Medio Oriente. Il Washington Post ha rivelato ieri che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu aveva assicurato agli Stati Uniti che non avrebbe preso di mira le installazioni petrolifere iraniane quando il suo Paese aveva risposto al recente attacco di Teheran allo Stato ebraico; non più di quanto attaccherebbe gli impianti nucleari.

È bastato rassicurare i mercati finanziari e far scendere di qualche dollaro il barile di greggio, già colpito dal calo della domanda cinese.

Questo era l’obiettivo auspicato: un attacco israeliano contro il settore petrolifero iraniano, potenzialmente seguito da ritorsioni sui paesi petroliferi del Golfo, rischiava di mandare il prezzo del barile a livelli stratosferici. A 200 dollari al barile, rispetto ai meno di 73 di ieri, causerebbe una catastrofe economica globale; il progetto di bilancio francese, ad esempio, non si opporrebbe.

Gli Stati Uniti si trovano quindi in questa posizione estremamente ambigua di negoziare obiettivi con Israele, rifiutando allo stesso tempo ogni responsabilità per il modo in cui viene condotta questa guerra, da Gaza al Libano o all’Iran.

La priorità dell’amministrazione Biden è ovviamente quella di evitare, in sole tre settimane, un peggioramento della crisi che potrebbe avere ripercussioni sulle elezioni americane. Uno shock petrolifero come quello del 1973, quando il prezzo del barile quadruplicò improvvisamente, ravviverebbe la paura dell’inflazione e penalizzerebbe Kamala Harris. Per non parlare del rischio di vedere le forze americane presenti nella regione coinvolte in una guerra che Washington non vuole.

Da un anno gli Stati Uniti convivono con questa ambiguità di cui Benyamin Netanyahu sa approfittare. Non ha seguito nessuna delle richieste americane, né per un minor numero di vittime civili a Gaza, né per un cessate il fuoco in Libano. Ma ciò non impedisce a Washington di consegnare a Israele le armi e le munizioni che gli mancano.

Di diversa natura è l’Iran, a causa del notevole rischio di escalation che coinvolge gli Stati Uniti. Da qui questa stretta negoziazione degli obiettivi prefissati.

Israele senza dubbio non sarà soddisfatto, perché Netanyahu desidera da tempo distruggere il programma nucleare iraniano e indebolirne il potere. Sarà quindi frustrato di non poterlo fare questa volta, se le informazioni del “Washington Post” saranno confermate.

Si tratta di un “se” importante perché, come sottolinea ironicamente il quotidiano israeliano “Haaretz”, certamente d’opposizione, “Biden deve ormai abituarsi al valore degli impegni verbali di Netanyahu”. Anche se l’arrivo in Israele di un sistema antiaereo americano con un centinaio di soldati a gestirlo rientra ovviamente nell’accordo.

Questa situazione è tuttavia paradossale: Israele sta conducendo guerre totali a Gaza e in Libano, ignorando le richieste di cessate il fuoco, come ha sperimentato ieri Emmanuel Macron; ma lo Stato ebraico misura i suoi colpi nei confronti dell’Iran, per soddisfare Washington. Conclusione: quando l’America vuole, può.

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