Stoico, sì, ma non troppo

Stoico, sì, ma non troppo
Stoico, sì, ma non troppo
-

“I grandi sistemi filosofici”, scrive il filosofo Luc Ferry, “ […] sono come palazzi magnifici, come castelli che bisogna prendersi il tempo di visitare prima di criticarli. » Stoicismo, nato nell’antica Grecia nel 4e secolo a.C. e reso famoso da tre grandi pensatori romani – Seneca, Epitteto e Marco Aurelio – nei primi due secoli d.C., è uno di questi castelli.

Questo pensiero, infatti, come nota Ferry Saggezze di ieri e di oggi (Flammarion, 2014), “attraverserà l’intera storia della filosofia” e influenzerà, in particolare e in parte, Montaigne, Spinoza, Nietzsche e il cristianesimo. Oggi troviamo la sua influenza in psicologia nelle terapie cognitivo-comportamentali e in una serie di libri best-seller sulla ricerca della serenità.

È in questo magnifico palazzo che il filosofo e sociologo Frédéric Lenoir ci invita a visitare Il sogno di Marco Aurelio (Flammarion Quebec, 2024, 288 pagine).

Non c’è dubbio che Lenoir sia un eccezionale divulgatore filosofico e teologico. Le sue opere Il Cristo filosofo (Lead, 2007), Socrate, Gesù, Buddha (Fayard, 2009) e L’Odissea del Sacro (Albin Michel, 2023) sono esemplari in questo senso e possono essere letti con beneficio da tutti coloro che sono interessati a queste grandi questioni. Il suo saggio più recente sullo stoicismo è in questa direzione, sostanziale e accessibile.

Un imperatore originale

Marco Aurelio (121-180) è un filosofo divertente. Figlio adottivo dell’imperatore romano Antonino e imperatore egli stesso dal 161 al 180, passò tuttavia alla storia soprattutto come saggio stoico. Questo è piuttosto raro nel mondo delle teste coronate.

Anche se è venuto al mondo in un ambiente ultra-privilegiato, “all’interno di una famiglia ricca e colta, vicina alle più alte sfere del potere”, nota Lenoir, il giovane, sensibile e di salute fragile, preferisce la filosofia al potere. e diventerà imperatore solo suo malgrado.

Questo viaggio spiega forse perché la storia conserverà di lui una buona opinione, presentandolo come un sovrano devoto e giusto. Fin dalla giovane età, infatti, Marco Aurelio conservò quattro cose dell’insegnamento dei suoi maestri, riassume Lenoir: “Evitare attività futili, sviluppare una mente critica, imparare a pensare bene attraverso l’arte del dialogo filosofico e condurre una vita austera. »

Un imperatore, detto questo, resta un imperatore, e Lenoir non nasconde i lati oscuri del personaggio. Durante i suoi 19 anni di regno, cristiani ed ebrei, che rifiutavano di adorare gli dei romani, furono perseguitati, la schiavitù e la sottomissione delle donne continuarono e le guerre coloniali, condotte in nome della missione civilizzatrice dell’impero, si moltiplicheranno. La saggezza, come vediamo, ha difficoltà a trascendere il proprio tempo e i propri ruoli sociali.

Principi dello stoicismo

Anche la vita di Marco Aurelio, nella sua grandezza come nelle sue miserie, non è priva di legami con la sua adesione allo stoicismo. Questa filosofia si basa su alcuni principi fondamentali che compongono una visione del mondo.

Concepisce innanzitutto l’universo, cioè tutta la realtà, come “un grande essere vivente dove tutto è interdipendente”, dove “tutto ciò che accade è necessario”, riassume Lenoir. La natura, che include l’uomo, è governata da una provvidenza ordinatrice che tutto determina. La saggezza consiste quindi, attraverso il ragionamento, nel trovare il posto che ci spetta in tutto questo e nell’esserne soddisfatti.

Per gli stoici, la vita è “una commedia in cui noi siamo gli attori”, scrive Lenoir. Ma il ruolo che ci spetta è predeterminato, già scritto. Per uno sarà schiavo, per l’altro imperatore, senza poter cambiare nulla. Il compito dell’uomo saggio è quello di capire quale ruolo gli spetta e di interpretarlo al meglio delle sue possibilità, senza lamentarsi e nemmeno trovandovi felicità.

Comprendiamo la necessità, in questa logica, di un secondo principio che postula che “non è la realtà a renderci felici o infelici, ma l’opinione o la rappresentazione che ne abbiamo”, spiega Lenoir. In altre parole, essendo la realtà quello che è, cioè necessaria e determinata, la nostra felicità dipende dalla nostra capacità di accettarla, anche di amarla.

Da qui la grande lezione stoica secondo la quale è importante distinguere ciò che dipende da noi (i nostri pensieri, i nostri desideri) da ciò che non dipende da noi (la realtà esterna, i giudizi degli altri) per vivere bene.

La nostra libertà, in altre parole, consiste nell’imparare ad accettare ciò che ci accade e ad amarlo invece di lottare contro il destino. Per illustrare questa lezione, Epitteto fa l’esempio di “un cane attaccato per il collo a un carro trainato da due buoi che rappresenta il potere del destino”, spiega Lenoir. Se il cane, frustrato dalla situazione, resiste e si rifiuta di seguirlo, arriverà a destinazione ferito, o addirittura morto, dopo un viaggio infernale. La saggezza deve quindi incoraggiarlo a seguire obbedientemente e volontariamente il carro per fare una bella passeggiata con l’anima in pace.

Saggezza dell’accettazione

Marco Aurelio non inventa questi pensieri. Li trovò principalmente, attraverso i suoi maestri, nei suoi grandi predecessori che furono Seneca (da -4 a 65) ed Epitteto (da 50 a 125 o 130). Se tuttavia lo consideriamo un filosofo, scrive Lenoir, non è quindi perché abbia creato una nuova dottrina o perché abbia portato avanti il ​​pensiero stoico, ma perché lo ha incarnato. Lo sappiamo grazie agli storici e grazie all’unico libro che conosciamo al riguardo, Pensieri per me stessotitolo dato al taccuino manoscritto ritrovato dai suoi soldati nella sua tenda la sera della sua morte.

Lo stoicismo, è ovvio, ha la sua grandezza. Ci dice, nota Lenoir, che “possiamo essere felici con poche cose”, che i nostri giudizi sulle cose a volte causano più della nostra infelicità delle cose stesse, che non ha senso lamentarsi del passato o sperare che la felicità sia futuro e che, poiché nel mondo tutto è interdipendente, “la preoccupazione per la felicità individuale deve sempre essere legata alla preoccupazione per il bene comune”.

Questo stoicismo, precisa Lenoir, non è estraneo al cristianesimo anche per il suo riferimento alla buona provvidenza, per il suo principio secondo cui tutti gli esseri umani sono della stessa natura, per la sua insistenza sul dovere di benevolenza verso gli altri e per la sua accettazione della morte come esperienza necessaria.

Quando ci preoccupiamo troppo dei peccatucci, quando anneriamo la nostra situazione attuale pensando che altrove o più tardi sarebbe meglio, quando il destino pone solidi ostacoli sul nostro cammino, una dose di stoicismo non aiuta. sbagliato.

La morte di una persona cara, ad esempio, è una dura prova. Le lacrime, quindi, non sono vietate. La rivolta contro questa realtà, dicono però gli stoici, non porta nulla di buono; l’accettazione è migliore. Non hanno torto. Non posso cambiare nulla della morte di mia madre che mi rattristi. Posso però considerarlo un evento inevitabile nella vita e ringraziare per la fortuna che ho avuto di avere una madre così. Facile a dirsi, difficile a farsi, ma nessuno diceva che la saggezza fosse una sinecura. In questo senso sono un po’ stoico.

Umanesimo di rivolta

Lo stoicismo, tuttavia, ha i suoi limiti. La sua metafisica provvidenziale e determinista, che postula che tutto è deciso in anticipo, annienta la libertà, nel suo senso moderno, per riconoscere solo la possibilità della libertà interiore. Dice, in effetti, che non posso cambiare il mondo, ma solo il mio giudizio sul mondo.

Ciò mi appare non solo contraddittorio – se tutto è determinato, come posso avere la libertà di modificare i miei pensieri, che sono essi stessi determinati, logicamente – ma, ancor più, umanamente inaccettabile. Il male – l’ingiustizia, la cattiveria, la violenza, ecc. – esiste, e dovrei imparare ad accettarlo, addirittura ad amarlo, visto che non posso farci niente?

Gli stoici, con Lenoir, risponderanno “che dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere, prima per migliorare noi stessi moralmente”, poi per migliorare il mondo, ma dove tracciare il confine tra ciò che dipende da me e ciò che non dipende da me? non dipende da quello?

Il cane legato al carro deve seguire la corrente e apprezzarla poiché non ha scelta, dice Epitteto. Chiedo: ma chi ha legato il cane? Perché gli altri cani, o gli uomini che ne sono i padroni, non dovrebbero avere il dovere di ribellarsi contro chi li vuole legati? Perché è di questo che si tratta?

Lo stoicismo viene talvolta definito moralità degli schiavi. Il suo determinismo e la sua saggezza di accettazione devono, infatti, farcelo considerare almeno come una moralità dello status quo. Lo stoicismo sostiene “l’uguaglianza ontologica di tutti gli esseri umani”, ma poi li incoraggia ad accettare il destino, a volte doloroso, che la provvidenza cosmica ha riservato loro. Spetta poi al povero essere un buon povero felice e al ricco essere un buon ricco soddisfatto.

Rivendico, in nome di una metafisica della libertà umana – qui è metafisica contro metafisica, poiché la prova della libertà o della sua assenza è impossibile in termini assoluti –, il diritto di rivoltarsi contro ciò che calpesta, perfino, la dignità umana se questo male non dipende direttamente da me. Chiamo saggezza questo rifiuto dei difetti dell’ordine cosmico, che spesso sono opera dell’uomo e sui quali spesso possiamo agire.

-

PREV OH! 1Fuel (OFT) prende d’assalto il Polo a gennaio Guadagni di DogeCoin e Shiba Inu
NEXT Perché la star si è ritrovata imbrigliata alla Torre Eiffel alle 3 del mattino del giorno prima della cerimonia delle Olimpiadi di Parigi?