Ispirata a una storia vera, questa miniserie di sei episodi è basata sulla testimonianza del sopravvissuto Lale Sokolov. Indossato da Jonah Hauer-King (La sirenetta), Anna Próchniak (Giubbotti gialli) e Harvey Keitel (Le iene), la produzione unisce ambizione artistica e dovere di ricordare raccontando una storia d’amore nel cuore dell’horror. Ma ricostruendo la vita quotidiana ad Auschwitz-Birkenau, ravviva anche il dibattito sulla rappresentazione della Shoah nella narrativa.
Una storia d’amore nata nell’orrore
Nel 1942 Lale Sokolov, un ebreo slovacco, fu deportato ad Auschwitz-Birkenau. Assegnato alla carica di tatuatore, incide i numeri di matricola sulle braccia dei deportati. È così che incontra Gita, della quale si innamora subito. Nonostante le atrocità e i pericoli, si crea un legame e Lale trova in questo amore un motivo per sperare e sopravvivere.
Decenni dopo, Lale, ormai ottantenne, racconta la sua storia a Heather Morris, una giovane scrittrice. Da queste interviste, iniziate nel 2003 a Melbourne, è nato un romanzo che ha venduto più di 13 milioni di copie. Se le linee principali della storia sono vere, il lavoro di Morris, come la serie, si prende delle libertà narrative, una scelta che ha diviso critici e storici.
Una finzione controversa
Alcuni, come CNNapprezzato il modo in cui questo lavoro è riuscito a catturare “l’orrore di questa esperienza mentre rivela esplosioni di grazia attraverso la sopravvivenza del suo narratore”. I media hanno elogiato anche la performance di Harvey Keitel per il ruolo dell’anziano Lale Sokolov.
Ma dietro questi elogi si celano riflessioni più profonde, che sollevano la questione della rappresentazione della Shoah sullo schermo. Il Guardiano chiede: possiamo davvero “drammatizzare l’indicibile” ? Il quotidiano ritiene che ridurre l’Olocausto a una finzione che unisce eroismo, suspense e coincidenze equivalga a tradire la singolarità di questo orrore storico.
“Auschwitz non può intrattenere”sottolinea, sottolineando la difficoltà di ripristinare questa realtà senza attenuarne la gravità. Gli elementi romantici, come l’amore a prima vista tra Lale e Gita, sono considerati inappropriati, addirittura problematici.
teleramapiù severo, denuncia un approccio “tutto indecente” che utilizza il contesto concentrazionario come sfondo per una grande storia d’amore. L’evocazione frontale di torture ed esecuzioni sommarie, priva di sfumature, alimenta, secondo la rivista, una riflessione sulla legittimità stessa di rappresentare l’Olocausto nella finzione. Questa critica è un’estensione delle domande di Claude Lanzmann, direttore di Shoahper i quali la rappresentazione dell’indicibile attraverso la finzione sconfina necessariamente nell’oscenità.
Partecipare al dovere della memoria?
Da parte sua, Francia occidentale assume una posizione più sfumata. Pur condividendo le domande dei suoi colleghi sulla rappresentazione fittizia dei campi di sterminio, il quotidiano riconosce nella serie una sincerità portata da un vero dovere di memoria, nonostante un’intensità emotiva difficile da sostenere.
Le scene ambientate ad Auschwitz, per quanto difficili, mettono in discussione le scelte morali imposte dall’istinto di sopravvivenza. La recensione sottolinea che la produzione riesce, nonostante i suoi limiti, a riflettere la dualità della condizione umana: l’amore al centro dell’orrore.
Tra emozione e polemica, Il tatuatore di Auschwitz illustra le sfide che la narrativa incontra quando si impadronisce della Storia. Possiamo ricostruire l’indicibile senza rischiare di distorcerlo? E fino a che punto la narrativa può prendersi delle libertà senza tradire la memoria? Domande che ci ricordano che trasmettere la Storia resta un esercizio essenziale, sempre pericoloso.
Una scorta
Acquista su Fnac.com