«Non sempre sono le persone o le cose materiali a scandire le notizie, ma a volte anche le idee. Questa settimana è stata un buon esempio: tra la commemorazione degli attentati del gennaio 2015, la morte di Jean-Marie Le Pen, gli sfoghi del trio Trump-Musk-Zuckerberg, il destino dello scrittore Boualem Sansal, l’arrivo degli estremisti destra al potere in Austria… Il concetto di libertà di espressione è diventato un evento.
➤ Stai leggendo la Lettera della Redazione di Rivista di filosofia. Per riceverlo direttamente nella tua casella di posta, iscriviti! Questo notiziario è giornaliero e gratuito.
La libertà di espressione potrebbe essere in pericolo? In ogni caso, ho la sensazione che non sappiamo più veramente di cosa si tratta, o che gli facciamo dire qualcosa. Un po’ come con la laicità o con la ricetta della pasta alla carbonara, ognuno ha una sua definizione personale, che inevitabilmente è distorta. C’è chi deplora la morte dei fumettisti Charlie Hebdo ma che sputano sulla loro tomba assimilandoli ad orribili coloni (“il punto avanzato della lotta per la superiorità occidentale”, rutta lo scrittore Aurélien Bellanger); coloro che criticano la censura ma utilizzano algoritmicamente l’incitamento all’odio come arma (vedi le recenti manovre di Musk e Zuckerberg); quelli che sostengono la liberazione di Boualem Sansal, detenuto in Algeria, ma che gli arruffano gratuitamente le penne (“un suprematista”, osa Sandrine Rousseau); quelli che hanno sulle labbra la formula “non possiamo più dire nulla” ma non tollerano la celebrazione della morte di un simpatizzante nazista (come Bruno Retailleau riguardo a Jean-Marie Le Pen)…
A destra come a sinistra, diventa sempre più significativa una piccola musica, quella del “Sì, ma…”. Sì, dovremmo difendere la libertà di espressione, ma… tanto più vigorosamente se la persona presa di mira condivide le nostre idee o ci somiglia in qualche modo. Il caso Boualem Sansal è eloquente da questo punto di vista. L’idea di poter chiedere a gran voce la liberazione di questo scrittore anziano, malato, ateo, libero pensatore, brillante e coraggioso sembra dare fastidio a buona parte della sinistra. Dove sono le istanze degli intellettuali impegnati? Dove sono i post Instagram degli attivisti in rivolta? Da quando castigare gli islamisti e le dittature è diventata una battaglia di retroguardia? Perché eufemizzare la tua difesa invocando posizioni passate, con le quali potresti non essere d’accordo ma che sono perfettamente rispettose della legge? Se sei un democratico, non puoi dire: “Boualem Sansal deve essere rilasciato, ma…” Devi dire: “Boualem Sansal deve essere rilasciato”. Punto.
La libertà di espressione è una questione di principio. Questa parola “principio”, un po’ antiquata, un po’ psicorigida, mi piace molto. Come spiega il mio amato filosofo, Renato Cartesioautore in particolare di Principi di filosofia (1644), questo concetto serve a stabilire una prima idea, solida, chiara, evidente, dalla quale si possono dedurre altre idee o compiere altre azioni. Se Cartesio è meno interessato alla politica che alla scienza, il suo metodo si applica molto bene alla questione attuale. La libertà di espressione, come tutti i grandi principi sanciti dalla Costituzione del 1789, è un prerequisito senza il quale non è possibile alcuna convivenza emancipatrice e pacifica. Ha uno status fondamentale, quasi sacro, che deve valere per tutti, senza previo esame del profilo della persona sospettata di abusarne. Possiamo interrogarci sui suoi limiti, ma, buona notizia, questi sono già stabiliti dalla legge, secondo un altro principio che può così sintetizzarsi: tutto, tranne l’incitamento all’odio verso le persone.
Per illustrare la sua concezione dei principi, Cartesio utilizza un’immagine molto semplice: dobbiamo considerarli come un albero, le cui radici costituiscono la metafisica, il tronco la fisica, ed i rami la meccanica, la medicina e la moralità. Guidati da filosofi e scienziati, gli esseri umani raccolgono i frutti di questi principi, fermo restando che un albero può avere radici senza frutto, ma non frutti senza radici. In una democrazia liberale è la stessa cosa. La libertà di espressione non è un frutto che cogliamo di sfuggita, ogni volta che ne abbiamo voglia. È la radice di tutta la vita pubblica, regola il dibattito collettivo e permette a tutti di avere voce. Tuttavia, i “Sì, ma…” che risuonano frequentemente stanno facendo marcire queste radici. Non dobbiamo aver paura di difendere i nostri avversari quando le loro libertà fondamentali sono minacciate. È una questione di principio ma anche, molto semplicemente, di dignità. »