Scomparsa. Jean-Marie Le Pen è morto, ma lascia un’eredità politica vivente

Scomparsa. Jean-Marie Le Pen è morto, ma lascia un’eredità politica vivente
Scomparsa. Jean-Marie Le Pen è morto, ma lascia un’eredità politica vivente
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Il 21 aprile 2002, l’adesione al secondo turno delle elezioni presidenziali di Jean-Marie Le Pen, presidente del Fronte Nazionale, fu un vero e proprio fulmine a ciel sereno. Milioni di francesi sono scesi in piazza tra i due turni, per dire no all’estrema destra, che è stata definitivamente schiacciata al secondo turno. Lo shock è immenso.

Ventitré anni dopo, anche se il politico francese più provocatorio è appena morto all’età di 96 anni, all’ospedale di Garches (Hauts-de-Seine), l’estrema destra francese è alle porte del potere. I francesi non manifestano più contro il partito guidato per 40 anni da Jean-Marie Le Pen e che ha ottenuto più del 41% al secondo turno delle elezioni presidenziali del 2022, sulla scia della figlia Marine.

Uomo di eccessi più che di potere

Nato quasi un secolo fa in Bretagna in un ambiente modesto, Jean-Marie Le Pen, guardia della Nazione, ha sempre coltivato il patriottismo ed è cresciuto politicamente all’interno del movimento poujadista. Colto, brillante ed eloquente, ha trascorso più di sessant’anni in politica e avrà avuto il tempo di vedere le sue idee prendere piede in modo duraturo nella vita politica, al punto da essere riprese, per alcuni, dai partiti, in particolare sull’immigrazione. di governo.

Jean-Marie Le Pen, uomo degli eccessi più che del potere, non avrebbe mai sognato di essere all’Eliseo. Animato da un viscerale antigollismo, condannato in più occasioni per i suoi eccessi razzisti, antisemiti e omofobi, “il Menhir” odiava la moderazione e costruiva la sua leggenda sull’eccesso, secondo la tradizione dell’estrema destra.

2015: la pausa

Queste scappatelle hanno portato sua figlia, Marine Le Pen, a escluderlo dal partito che aveva fondato. È successo dieci anni fa, dopo mesi di tensioni politiche e familiari. Jean-Marie Le Pen, che aveva consegnato il partito alla sua linea, non ha potuto sostenere il lavoro di normalizzazione del partito in fiamme, per renderlo un partito di governo.

Un’immagine riassume il loro confronto: il 1 maggio 2015, davanti all’Opera di Parigi, la presidente della FN si prepara a parlare davanti ai suoi sostenitori per quello che allora era il Festival di Giovanna d’Arco. Poi appare Jean-Marie Le Pen, con un parka rosso. Con le braccia alzate e l’orgoglio in spalla, è stato acclamato dalla folla prima di scomparire. Un ultimo affronto che portò alla sua sospensione, poi all’esclusione qualche mese dopo.

Ostile al RN

Senza Jean-Marie Le Pen, il FN diventa poi RN nel 2018 e si fa di tutto per cancellare l’eredità sulfurea del patriarca. Marine Le Pen rifiuta la classificazione nell’estrema destra e preferisce la divisione destra-sinistra, quella che contrappone il popolo alle élite.

In dieci anni, la RN, liberata dall’immagine ingombrante di Jean-Marie Le Pen, ha divorato la destra tradizionale, al punto da surclassarla alle ultime elezioni presidenziali del 2022. La normalizzazione non piace a Jean-Marie Le Pen, ma fa appello agli elettori. Le idee radicali rimangono. Negli incontri gli attivisti cantano ancora “siamo a casa”. Gli attivisti con la testa rasata e nostalgici di un FN xenofobo sono ostracizzati, ma restano presenti, anche se meno visibili. Gli attivisti più anziani rivendicano ancora di appartenergli, anche se altri, più numerosi, hanno ingrossato le fila del RN senza fare riferimento al suo storico leader.

Dividere fino alla morte

La preferenza nazionale ha, nei programmi, lasciato il posto alla priorità nazionale, concetto meno connotato. La RN continua a non ammettere tutti i giornalisti alle manifestazioni che organizza e critica il “sistema mediatico”, classica antifona dell’estrema destra.

Uomo divisivo che amava essere tale, Jean-Marie Le Pen divide anche nella morte. Il presidente Emmanuel Macron ritiene, con rara moderazione, in un comunicato stampa ufficiale, che il suo ruolo politico “sia ora oggetto del giudizio della Storia”. La sinistra constata che le sue idee persistono, come Jean-Luc Mélenchon: “La lotta contro l’uomo è finita. Continua quella contro l’odio, il razzismo, l’islamofobia e l’antisemitismo da lui diffuso”. Più cauti il ​​primo ministro François Bayou e il ministro dell’Interno Bruno Retailleau, che salutano al di là delle differenze “una figura politica” che avrà “segnato la sua epoca”. In definitiva parole abbastanza classiche per un uomo che non ha mai voluto esserlo.

svizzero

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