Jean-Marie Le Pen è morto martedì 7 gennaio, all’età di 96 anni. Presidente del Fronte Nazionale dal 1972, ottenne risultati significativi solo dopo la conquista del potere della sinistra nel 1981, prima di qualificarsi al secondo turno delle elezioni presidenziali del 1981. 2002. Il suo intervento si è concentrato quasi esclusivamente sull’immigrato, ritenuto responsabile della disoccupazione, della precarietà e della perdita dell’identità nazionale.
Figura importante nella vita politica francese per quasi sessant’anni, Jean-Marie Le Pen ha dato all’estrema destra una visibilità e una longevità che non aveva mai avuto nella Francia contemporanea fino ad allora.
Gli inizi della sua carriera politica mettono in luce il posizionamento originario che fu il suo e che costituì una delle chiavi del suo successo, ai confini della destra e dell’estrema destra, al limite tra il gioco politico tradizionale e la tradizione della protesta. .
Inizialmente vicino all’Action Française, la principale lega antirepubblicana nata dall’affare Dreyfus, quando era presidente della Corporazione degli studenti di diritto all’inizio degli anni Cinquanta, nel 1955 presiedette i Giovani Indipendenti di Parigi, organizzazione che ne rivendica l’eredità della corrente “nazionale” che domina la scena politica parigina e in particolare il Consiglio Comunale dall’inizio del XX secoloe secolo.
Fa quindi parte dell’eredità populista e nazionalista delle leghe di estrema destra che avevano segnato il periodo tra le due guerre e che poi sembravano rinascere sotto il doppio impulso del movimento poujadista e della difesa dell’Algeria francese.
Nel gennaio 1956, all’età di 28 anni, fu eletto deputato Poujadiste a Parigi: era allora il membro più giovane dell’Assemblea nazionale. Ma prese rapidamente le distanze da un gruppo poujadista il cui dilettantismo in politica gli faceva presagire un rapido declino. Si è unito al gruppo degli Indipendenti e dei Contadini che riunisce la destra conservatrice e parlamentare, il cui leader principale è Antoine Pinay. Fu sotto l’etichetta del Centro Nazionale degli Indipendenti e dei Contadini che fu rieletto deputato nel novembre 1958, prima di essere sconfitto quattro anni dopo, come gran parte di coloro che, favorevoli all’Algeria francese, rifiutarono con intransigenza la politica galliana. .
Contro de Gaulle
Durante questi sei anni trascorsi all’Assemblea nazionale, Jean-Marie Le Pen incarna l’ala più di destra degli indipendenti, in opposizione sempre più radicale al gollismo e ai suoi alleati moderati, come i repubblicani indipendenti di Valéry. Giscard d’Estaing.
Fu per continuare questa lotta che, tra il 1963 e il 1965, guidò la campagna presidenziale di Jean-Louis Tixier-Vignancour, ventuno anni più anziano di lui, che aveva militato nelle leghe tra le due guerre. poi dal regime statale francese prima di difendere gli attivisti dell’OAS. Nonostante il ricorso ai moderni metodi di propaganda, Tixier-Vignancour non è riuscito ad ampliare il suo elettorato oltre i nostalgici dell’Algeria francese.
Per battere de Gaulle, ha chiesto un voto per François Mitterrand al secondo turno, cosa che Jean-Marie Le Pen non ha accettato. Subito dopo le elezioni presidenziali del 1965, ruppe con Tixier-Vignancour e iniziò ad attraversare il deserto, proprio nel momento in cui la destra radicale attirava una nuova generazione di attivisti, si riuniva attorno ai gruppi occidentali (allora Ordine Nuovo) e si impegnava in una rinnovamento ideologico, come testimonia la creazione del GRECE, poi del Club de l’Horloge.
Nazional-populismo
Jean-Marie Le Pen non è né un attivista né un intellettuale, bensì un politico. Questo è senza dubbio ciò che spiega perché nel 1972 fu scelto alla presidenza del Fronte Nazionale (FN), un nuovo partito che mirava a unire piccoli gruppi di estrema destra. Dopo il fallimento della candidatura Tixier-Vignancour, questi ultimi si crogiolano infatti in un radicalismo sinonimo di marginalità.
Fin dall’inizio Le Pen rifiuta l’etichetta di estrema destra utilizzata soprattutto dai media e, candidato alle presidenziali nel 1974, si definisce promotore di un “grande movimento nazionale e popolare” e “portavoce di una destra che osa pronuncia il suo nome”.
Nonostante la sua notorietà, le sue qualità di oratore e la sua presenza sui media, i risultati non furono all’altezza: non ottenne l’1% alle elezioni presidenziali del 1974 e non riuscì a raccogliere 500 firme. necessario per candidarsi alle elezioni presidenziali del 1981.
Sono trascorsi solo dieci anni dalla creazione del FN che il lavoro di organizzazione, propaganda e sintesi ideologica portato avanti da Jean-Marie Le Pen cominciava a dare i suoi frutti, in un contesto segnato dallo sgomento degli elettori di destra, scioccati dalla sconfitta del 1981, e da una crisi sociale che incide indirettamente sulla credibilità dei cosiddetti partiti di governo.
Jean-Marie Le Pen definisce soprattutto una linea che permette di conciliare la dottrina dell’identità, propria dell’estrema destra cosiddetta “nazionale”, con le frustrazioni di un elettorato, medio e operaio, che cercare soluzioni rapide alla crisi: è l’emergere di quello che chiameremo subito “populismo nazionale”.
L’immigrazione, un tema quasi esclusivo
Ha fatto della lotta all’immigrazione il tema centrale, se non esclusivo, del suo intervento. L’immigrato è a sua volta ritenuto responsabile dell’impennata della disoccupazione, dell’aumento dell’insicurezza, della violenza urbana e della crisi delle periferie, del rischio di declassamento delle classi medie, dello sradicamento della Francia, diluito in un cosmopolitismo che, a sua volta, occhi, promuove il governo socialista.
Questo discorso semplicistico attira nuovi elettori che offrono all’estrema destra i primi successi elettorali dallo scoppio di breve durata del poujadismo: il FN ha superato la soglia del 10% dei voti durante le elezioni europee del 1984 e le elezioni legislative del 1986, e Jean- La stessa Marie Le Pen raggiunse il 14,5% nelle elezioni presidenziali del 1988, poi il 15% nel 1995, prima di sfiorare il 17% e poi il 15% nel 1995. qualificarsi per il secondo turno delle elezioni presidenziali del 2002.
Successo tra lavoratori e disoccupati
Questi vent’anni di successi elettorali hanno permesso a Jean-Marie Le Pen di radicare l’estrema destra nel panorama politico francese, modificando significativamente il suo elettorato e rinnovando i suoi schemi e il suo discorso.
Reclutando dapprima la maggioranza dei suoi elettori tra i ceti medi indipendenti e gli anziani, il FN ha conquistato, negli anni Novanta, un elettorato più giovane e più popolare: nelle elezioni presidenziali del 1995, è stato Jean-Marie Le Pen a classificarsi primo nella classifica elettorale. tra l’elettorato della classe operaia, del quale ha ricevuto più del 21% dei voti, e tra i disoccupati, il 28% dei quali ha votato per lui.
L’estrema destra ora ha funzionari eletti, in particolare nei consigli regionali e comunali. Dopo le elezioni municipali del 1995, ha guidato anche quattro grandi comuni nel sud della Francia, tra cui quello di Tolone, dove l’ex capo di gabinetto di Le Pen, Jean-Marie Le Chevallier, è stato eletto sindaco. Il FN sta diventando un vero partito, con le sue organizzazioni satelliti, i suoi dirigenti, ma anche i suoi clan e le sue lotte di apparato, come rivela la lotta spietata condotta, nel 1998, da Jean-Marie Le Pen e da quello che appariva fino ad allora come il suo secondo, Bruno Mégret.
Una cultura della protesta e i suoi limiti
La disputa Le Pen-Mégret non è solo una disputa personale. Corrisponde a una divisione tra due strategie, due posizioni. Formatosi al Club de l’Horloge, della destra parlamentare, Bruno Mégret aspirava a un’alleanza tra il FN e la destra tradizionale, a una sintesi tra liberali e nazionali in vista dell’esercizio del potere.
Jean-Marie Le Pen non ha mai perseguito questo obiettivo. Fedele alla cultura della Lega, incarna soprattutto un diritto di protesta che sfrutta frustrazioni e rabbia per destabilizzare il sistema politico. Certamente ha cercato di espandere il suo elettorato cancellando un certo numero di eccessi e asperità. Ma non si è mai veramente impegnato in una strategia di demonizzazione, come ha fatto sua figlia Marine negli anni 2010. Lo testimoniano le molteplici provocazioni che hanno segnato e limitato la sua ascesa, dalla vicenda “dettaglio” del 1987 fino all’aggressione fisica a un candidato socialista a Mantes-la-Jolie nel 1997, compreso il gioco di parole “Durafour-crematorio”. ” nel 1988: ognuno di questi atti e discorsi lo ha reso politicamente inaccessibile e alienato Infatti la prospettiva di un’alleanza con altre forze politiche.
Personalità segnata dalle grandi battaglie del 20° secoloe secolo (la seconda guerra mondiale, la lotta contro il comunismo, la guerra d’Algeria, ecc.), Jean-Marie Le Pen è stato l’uomo che ha dato all’estrema destra francese il posto centrale che occupa nel panorama politico dall’inizio del XXI secoloe secolo.
Ha saputo sintetizzare le diverse sensibilità della destra tradizionalista, identitaria o populista, che diverse forze e personalità politiche cercano di catturare oggi, da LR di Laurent Wauquiez a Reconquête di Éric Zemmour, passando, ovviamente, attraverso le sue due eredi dirette, Marine Le Pen e Marion Maréchal.
Ma anche le leve della sua ascesa politica (la cultura leghista e della protesta, l’ossessione identitaria, l’ambiguità coltivata rispetto ai demoni dell’estrema destra radicale, ecc.) ne segnano i limiti. Ecco perché Marine Le Pen, promossa a capo del Fronte Nazionale nel 2011, ha esercitato un vero e proprio diritto d’inventario sull’eredità politica del padre, rifiutando tutto ciò che possa ricordare gli scandali del passato senza però rinnegare l’identità coltivata in tanti anni di lotta politica.