Donald Trump alla riconquista del Canale di Panama e all’acquisizione della Groenlandia. Quelle che erano promesse o minacce elettorali, ora sono le parole del presidente eletto degli Stati Uniti, che entrerà nella Casa Bianca tra meno di un mese.
Il caso Panama
In una serie di post minacciosi sul suo social media Truth, Trump ha attaccato le autorità panamensi di imporre “tariffe ridicole” e troppo alte agli Stati Uniti e ha avvertito che la Cina sta assumendo un ruolo sempre più influente nell’area dichiarando che una volta tornato alla Casa Bianca farà di tutto per riprendere il controllo dello strategico passaggio. Il Canale di Panama, che collega l’oceano Atlantico e quello Pacifico, fu costruito più di un secolo fa dagli Stati Uniti ma torno nelle mani del paese centroamericano nel 1999, in base a un accordo firmato dal presidente democratico Jimmy Carter negli anni Settanta.
Nella pratica è quasi impossibile che gli Stati Uniti possano riprendere il controllo del Canale, che costruirono più di un secolo fa. Trump tira nel bel mezzo della polemica anche la Cina, che nel 2017 ha avviato una serie di negoziazioni commerciali con Panama per il controllo di due dei cinque porti adiacenti al Canale, nell’ambito degli investimenti e progetti infrastrutturali della Belt and Road Initiative.
Immediata la replica delle autorità del Paese. “Ogni metro quadrato del Canale appartiene a Panama e continuerà a esserlo”, ha risposto il presidente di Panama, José Raúl Mulino “La sovranità e l’indipendenza del nostro Paese non sono negoziabili. Ogni panamense, qui e ovunque nel mondo, lo porta nel cuore ed è parte della nostra storia di lotta e di conquista irreversibile”, ha sottolineato Mulino in un messaggio alla nazione diffuso sui social network e sui media.
Le mire sulla Groenlandia
L’attacco di Trump sul canale è solo l’ultimo esempio del cambiamento che il presidente eletto imprimerà alla politica estera una volta tornato alla Casa Bianca soprattutto rispetto alla Cina e all’Europa. Il presidente eletto punta anche alla Groenlandia. “Ai fini della sicurezza nazionale e della libertà in tutto il mondo, gli Stati Uniti d’America ritengono che la proprietà e il controllo della Groenlandia siano una necessità assoluta”, ha scritto su Truth. Certo, non è una sortita nuova. Trump aveva espresso la sua ambizione già nel 2019, durante il suo primo mandato, quando considerò l’acquisto da parte degli Stati Uniti di questo territorio artico, evocando una potenziale “grande operazione immobiliare strategicamente interessante”. La vicenda aveva provocato una crisi diplomatica con la Danimarca, membro della Nato. Allora come ora, il governo del territorio artico ha risposto che “l’isola non è in vendita.
Ma le motivazioni di questa sua minaccia sono facilmente intuibili. Il territorio artico, che dipende dalle risorse finanziarie della Danimarca e dell’Unione Europea per la sua sopravvivenza e gli investimenti in infrastrutture, è ricco di risorse naturali: petrolio, gas, oro, diamanti, uranio, zinco, piombo. Risorse fin qui sfruttate molto poco per carenza di infrastrutture e per preoccupazioni di tipo ambientale. In più, con il riscaldamento globale e lo scioglimento dei ghiacciai si aprono nuove rotte commerciali, che suscitano i desideri di Stati Uniti, Cina e Russia.
È iniziata la corsa all’Artico: così Cina e Russia si prendono il mare libero dai ghiacci
Lo scioglimento delle calotte polari ha reso più navigabili acque un tempo impercorribili, liberando vie di navigazione che venivano precluse dal traffico commerciale. Una fortuna per Pechino, che ha puntato gli occhi su questa zona del mondo per far passare i corridoi della “Via della seta polare” (una delle rotte della Nuova Via della Seta) e ridurre quindi i tempi di percorrenza delle merci tra i porti cinesi e gli scali europei. Basti pensare che una nave che parte da Shanghai per arrivare a Rotterdam, passando per il canale di Suez, potrebbe impiegare circa 50 giorni. Ma attraverso la rotta nordica e la Via della Seta Polare lo stesso viaggio durerebbe circa 33 giorni.
In ballo anche gli interessi militari
Ci sono però anche gli interessi militari che Russia e Cina hanno in questa zona di mondo. Per Pechino la rotta polare può essere utile alla marina cinese per spostare più rapidamente le proprie truppe dal Pacifico all’Atlantico. Mosca, invece, ha già certificato il suo interesse aprendo centinaia di siti militari dell’era sovietica nell’Artico, secondo un recente documento del Pentagono. Ecco perché Trump sbandiera la questione della “sicurezza nazionale” quando, guardando in profondità, ci sono anche e soprattutto motivazioni di carattere commerciale ed economico.