Il tradizionale film di Natale di produzione Walt Disneyci riporta quest’anno nella mitica e grandiosa savana africana del regno di Simba, il Re leone. Solo che questa volta il regista americano e premio Oscar, Barry Jenkins (Chiaro di luna) non ci propone la stilizzata savana realizzata con l’animazione tradizionale del primo film del franchise, ma, riprendendo stilisticamente il remake del 2019, si azzarda ad andare ancora più in là con il realismo delle immagini. Mufasa – Il re leone (Mufasa: Il Re Leone) perfeziona quindi quel connubio di animazione digitale, utilizzando il CGI e il live action come molti recenti film di animazione, arricchendolo di un fotorealismo sorprendente. Eppure, per quanto fotorealistici appaiano, gli animali di Mufasa rimangono delle creature fatte di pixel, e non di carne ed ossa, tanto che, in alcuni momenti, questa verità viene a stridere con le intenzioni naturalistiche dei suoi realizzatori. Se il leone animato Simba del 1994 poteva cantare senza che ciò risultasse forzato, trent’anni dopo, il Mufasa del 2024, pur nella sua perfezione digitale, fa qualche fatica a convincerci delle sue doti canore.
Ma partiamo dalla trama di questo prequel musicale. La cornice narrativa vede questa volta il piccolo cucciolo di leone Kiara (voce it.: Emma Cecile Rigonat), figlia di Simba (Marco Mengoni) di Nala (Elisa) che, in attesa della nascita di un fratellino, rimane in affido ai suoi protettori: il facocero Pumbaa (Stefano Fresi) e il suricato Timon (Edoardo Leone). Sorpresi da un forte temporale e riparatisi in una grotta, trovano la compagnia del mandrillo sciamano Rafiki (Edoardo Stoppacciaro), che per far coraggio a Kiara, inizia a raccontarle la storia delle imprese del nonno: il re leone Mufasa (Luca Marinelli), padre di Simba.
Il focus del racconto si sposta quindi su re Mufasa e di come quest’ultimo, ancora cucciolo, dopo essere stato trasportato da un fiume in piena lontano dai suoi genitori, sia stato trovato da Taka (Valeriano Corini), un altro cucciolo di leone e accolto dalla madre di questo, la leonessa Eshe (Daniela Calò) nel branco del re leone Obasi (Pasquale Anselmo). Con il suo intuito e il sofisticato olfatto, Mufasa, riesce a precedere il re in molte decisioni, tanto che Obasi sente messo in discussione il suo potere e quello del figlio Taka da questo, estraneo e mai accettato, ‘randagio’. Nel frattempo l’esistenza del branco viene messa in pericolo dai violenti e vendicativi leoni bianchi di Kiros (Mads Mikkelsen), dopo che Mufasa ha ucciso il figlio di quest’ultimo per salvare Nala.
Mentre Mufasa e Taka scappano, inseguiti dal branco di Kiros, incontrano per strada Rafiki e la giovane leonessa Sarabi (Elodie) e con questi si avventurano alla ricerca del leggendario paradiso, la mitica terra di Milele. Il racconto dell’anziano Rafiki prosegue poi, interrotto ogni tanto da Pumbaa e Timon, su come il fedele ‘fratello’ Taka si trasformi nel traditore Scar e di come l’eroico Mufasa diventi re delle Terre del Branco, radunando intorno a sè gli animali della savana e sconfiggendo re Kiros.
L’idea di riprendere ancora una volta il franchise de Il re leone nasce dall’intenzione di sfruttare al meglio l’enorme successo ottenuto a suo tempo dal primo film della serie, realizzato nel tradizionale stile di animazione Disney. Su quel successo si basa anche l’investimento miliardario per la produzione, con tecniche di animazione digitale, delle ultime due parti della serie, il remake del 2019 e quest’ultimo film Mufasa – Il re leone. Mentre però, il remake (che già sfoggiava le migliori tecniche CGI) del 2019, forte della storia originale, poneva l’accento di novità sul naturalismo e realismo estetico delle immagini, e non dimenticava di inquadrare la storia in quello che il racconto definiva ‘il ciclo della vita’, nel prequel questo aspetto viene a mancare. Le presenze di contorno, che costruivano il quadro naturale di un’atmosfera quasi documentaristica, data dalla presenza continua di insetti e di piccoli animali abitanti della savana, scompaiono nell’ambientazione digitale attuale per rimanere una presenza lontana e sfuggente. Il naturalismo lascia invece il posto a molti piani ravvicinati dei grandi felini che creano, come dicevamo, effetti di un realismo estremo, ma evidenziano pure un certo autocompiacimento. Pure l’azione, l’azione intesa come corsa e movimento, ha un ruolo di primo piano: nella savana si corre, e molto, su questo non c’è dubbio. Inoltre, il film soffre della sindrome tipica da prequel, ossia il voler spiegare e chiarire ogni cosa della storia originale, a costo di risultare forzato e poco originale. Ecco, quindi, il ricorso continuo ai corsi d’acqua quando manca la fantasia per un cambio scena interessante: se la storia non scorre, si lascia scorrere il fiume. In questo contesto anche i personaggi secondari, ma non meno importanti, come il facocero Pumbaa e il suricato Timon, risultano deludenti, non trovando un loro specifico ruolo, mancano di impulso creativo e non risultano divertenti come i loro predecessori.
L’incredibile fotorealismo dell’animazione è più che degno di nota, e si può solo ammirare il livello di tecnologia che la Disney è riuscita a raggiungere. In un film diretto a famiglie e bambini però questo aspetto risulta disfunzionale e per quanto non si trovi presenza di sangue (nemmeno la ferita sull’occhio di Taka-Scar sanguina), le immagini così realistiche, di denti digrignanti e le feroci azzuffate fra leoni, unite alla musica dal tono drammatico, possono creare paure e intimidire i più piccoli.
Inutile quindi sottolineare come ciò che nel tradizionale film di animazione si può realizzare, proprio perché l’animazione, nel suo astrarre e stilizzare, permette alla figura di un leone animato sia di fare il leone e ruggire, sia anche di parlare e cantare, questo meccanismo, in questo mondo iperreale, funziona solo in parte. E i sorrisi tirati, forse gli unici movimenti innaturali sui musi dei leoni, nelle scene musicali sono lì a ricordarcelo. Quello che ben funzionava con l’animazione tradizionale viene a stonare con il realismo fotografico dei protagonisti animali. Nemmeno la buona regia di Jenkins riesce a risolvere certe tensioni di realizzazione in Mufasafaticando non poco a trovare la giusta dose fra realismo e aspetto fantastico.
Nella distribuzione italiana le figure animate dei protagonisti sono interpretate dalle voci italiane di importanti attori quali Luca Marinelli, Stefano Frei ed Edoardo Leonema anche di cantanti come Elodie, Elisa e Marco Mengoni. Mentre le musiche, pur non eguagliando l’ormai iconica colonna sonora dell’originale di un mostro sacro quale il compositore Hans Zimmer e le canzoni di Elton Johnrisultano comunque orecchiabili e piacevoli, così ben composte da risultare in piena sintonia con le situazioni rappresentate sul grande schermo.
Se già nella versione in 2D i magnifici primi piani iperrealistici dei leoni lasciano a bocca aperta per il loro incredibile realismo non c’è dubbio che la versione in 3D nasconda vivaci e sorprendenti effetti speciali. Come accennavamo prima, un film di Natale da vedere, nonostante le sue imperfezioni, realizzato per le famiglie e per un pubblico giovane, ma con le dovute attenzioni verso i più piccoli.
In sala dal 19 dicembre 2024.
Mufasa – Il re leone (Mufasa: Il Re Leone) – regia: Barry Jenkins, sceneggiatura: Jeff Nathanson, basato sulla storia originale “Il re leone” della Disney; fotografia: James Laxton; montaggio: Joi McMillon; musica: Dave Metzger, Nicholas Britell (musiche), Lin-Manuel Miranda (testi canzoni); voci originali e doppiatori italiani: Aaron Pierre/Luca Marinelli (Mufasa), Kelvin Harrison Jr./Alberto Boubakar Malanchino (Taka), Seth Rogen/Stefano Fresi (Pumbaa), Billy Eichner/Edoardo Leo (Timon), Tiffany Boone/Elodie (Sarabi), Donald Glover /Marco Mengoni (Simb), Mads Mikkelsen/Dario Oppido (Kiros), Thandiwe Newton/Daniela Calò (Eshe), Lennie James/Pasquale Anselmo (Obasi), Blue Ivy Carter/Emma Cecile Rigonat: (Kiara), Beyoncé/Elisa (Nala); produzione:WaltDisney; origine: Stati Uniti, 2024; termine: 118 minuti; distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures.