Nella notte tra il 23 e il 24 maggio 2021, Stéphanie Di Vincenzo, 22 anni, è stata uccisa con diverse coltellate dal suo fidanzato, Liridon Berisa, a Hayange.
La scena è avvenuta davanti a testimoni, tra cui la figlia di tre anni della coppia.
Processato davanti alla Corte d’assise della Mosella, quest’ultimo è stato condannato questo venerdì al massimo della pena.
Si tratta di un femminicidio che ha scatenato polemiche per il cumulo di diversi episodi. Prima della morte della vittima, la polizia era già intervenuta dieci volte nell’abitazione della coppia. La giovane aveva presentato denuncia anche qualche mese prima, ma tale denuncia non era stata trasmessa alla Procura.
Questo venerdì, tre anni e mezzo dopo la tragedia, la Corte d’assise della Mosella ha condannato Liridon Berisa al massimo della pena, all’ergastolo con una durata di sicurezza di 22 anni, per il femminicidio della sua compagna, Stéphanie Di Vincenzo, nel maggio 2021 a Hayange.
Minacce verso la famiglia della vittima al momento della pronuncia del verdetto
L’assassino, che oggi ha 26 anni, aveva accoltellato più volte la compagna per strada, davanti ai vicini e sotto gli occhi della loro nipotina di tre anni. L’imputato, dal temperamento vulcanico, escluso più volte dall’aula mercoledì e giovedì, è stato ancora una volta offensivo, provocatorio e minaccioso nei confronti della famiglia della vittima quando è stato annunciato il verdetto.
Tanto che uno zio della vittima presente in prima fila con la famiglia ha gridato “Pena di morte! Pena di morte!”
La vittima è scappata sanguinando dalla finestra
Nella notte tra il 23 e il 24 maggio 2021, ha avuto luogo un violento alterco tra Liridon Berisa e la vittima nella loro casa di Hayange, un’ex città industriale nel nord della Mosella.
Stéphanie Di Vincenzo, 22 anni, è scappata dalla finestra, indebolita e insanguinata. Diversi testimoni l’hanno vista correre verso la stazione di polizia, situata a 40 metri dall’abitazione. Ma in quel momento la stazione di polizia era chiusa. Liridon Berisa l’ha raggiunta e l’ha pugnalata più volte, davanti ai vicini e sotto gli occhi della loro figlia di tre anni. Poi ha gettato la sua arma in un bidone della spazzatura ed è fuggito.
Il giorno prima della tragedia, Liridon Berisa si era strappato il braccialetto elettronico senza che questo desse il minimo allarme. Una missione d’ispezione, inviata successivamente, non se ne era accorta “nessuna cattiva condotta professionale nelle decisioni prese” e aveva stimato che il braccialetto avesse sofferto “malfunzionamento inspiegabile”.