Donald Trump potrebbe essere processato: la Corte Suprema esclude l’immunità totale

Donald Trump potrebbe essere processato: la Corte Suprema esclude l’immunità totale
Donald Trump potrebbe essere processato: la Corte Suprema esclude l’immunità totale
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In una sentenza molto attesa, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha stabilito lunedì, con sei voti contro tre, che il presidente americano godeva dell’immunità “assoluta” per gli atti chiaramente ufficiali compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, ma nessuna per gli atti non ufficiali. La Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla richiesta di immunità presentata da Donald Trump per esonerarlo da ogni responsabilità nella contestazione dei risultati elettorali del 2020 e, in particolare, nell’assalto al Campidoglio. Ritorna quindi ai giudici di grado inferiore, che avevano escluso l’immunità, il compito di stabilire quando e come verrà giudicato Donald Trump.

Questa sentenza ha un significato storico nella misura in cui aiuta a definire i limiti del potere presidenziale. La Corte, adita il 25 aprile, è tuttavia criticata per la lentezza con cui ha esaminato il caso. Ricordiamo che in altri tempi poteva essere più desiderosa di risolvere le questioni più serie.

Nel giugno 1971, ad esempio, gli ci vollero solo quattro giorni, dopo le arringhe orali, per vietare all’amministrazione Nixon di bloccare la pubblicazione da parte del New York Times dei Pentagon Papers sulla storia segreta della guerra del Vietnam. Tre anni dopo, nel luglio 1974, ci vollero sedici giorni per costringere la stessa Amministrazione a consegnare al Congresso le non meno famose registrazioni segrete che avrebbero fatto precipitare il presidente nello scandalo Watergate. Più vicino a noi, nelle settimane successive alle memorabili elezioni presidenziali del 2000, alla Corte Suprema bastarono solo ventiquattr’ore per decidere di fermare il riconteggio delle schede in Florida, mandando così George W. Bush alla Casa Bianca.

Lasciamo che gli elettori si esprimano in anticipo

Da lì a pensare che la maggioranza conservatrice della Corte Suprema si sia trascinata consapevolmente in aiuto di Donald Trump, c’è solo un passo, tanto più rapido poiché sappiamo che tre dei nove giudici sono stati nominati dall’ex presidente. Certamente la Corte ha manifestato in più di un’occasione il suo desiderio di indipendenza. Tuttavia, nel caso di specie, prendendosi il suo tempo, ha di fatto concesso al candidato repubblicano l’immunità che cercava, fermando l’orologio giudiziario e rinviando indefinitamente i processi che sta affrontando, a Washington e in Georgia.

Semplice conseguenza della molteplicità dei ricorsi, o strategia deliberata, legata anche all’imbarazzo provocato da una situazione senza precedenti? Potrebbe, infatti, sembrare delicato prendere decisioni che avrebbero portato all’esclusione dalle elezioni presidenziali di un candidato, soprattutto di uno che sembra essere il favorito. Potrebbe quindi essere conveniente lasciare che gli elettori si esprimano prima, posticipando i termini di legge.

In ogni caso, la tardiva sentenza sull’immunità presidenziale avrà molto probabilmente l’effetto di impedire, per ragioni pratiche, qualsiasi ulteriore comparizione di Donald Trump in tribunale prima delle elezioni del 5 novembre – i ritardi sembrano decisamente troppo brevi. E, se dovesse essere eletto, l’imputato beneficerebbe così di una tregua di quattro anni. Immagineremo quindi di giudicare un ex presidente nel 2029, almeno nel 2029, per aver “complottato contro gli Stati Uniti d’America” nel 2020? In queste condizioni, il processo che il mese scorso ha portato alla condanna di Donald Trump per pagamenti segreti all’attrice porno Stormy Daniels potrebbe rimanere l’unico. La sentenza sarà pronunciata l’11 luglio.

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