Se n’è andata un’eroina. La sua eredità: un intero secolo di combattimenti. Madeleine Riffaud, poetessa, combattente della resistenza, ex giornalista presso Umanitàè morto questo mercoledì, 6 novembre. Era un personaggio di un romanzo, la cui esistenza era intessuta di lotte, scrittura, tre guerre e un amore. Una vita di folle intensità, dall’infanzia tra le macerie della Grande Guerra, ai primi passi nella resistenza alla macchia mediterranea del Vietnam del Sud.
Nel suo appartamento parigino, l’anziana signora, fronte corrugata, lineamenti duri, sguardo penetrante nonostante la cecità, raccontava una storia sicura e precisa, scandita dal cinguettio degli uccelli che la circondavano, nelle loro grandi voliere. Vestita di nero, i lunghi capelli sempre intrecciati di lato, fumava, ricordando l’intimo e la storia, e fino alla prima ferita, a lungo sepolta nell’oblio, uno stupro subito da adolescente, dovette oltrepassare la linea di demarcazione per raggiungere il sanatorio . La tubercolosi le era caduta addosso come l’ennesima disgrazia, durante l’esodo, mentre la sua famiglia fuggiva dalla Parigi occupata.
Abbraccia la lotta
È uscita dalla malattia per abbracciare la lotta. “Sono entrato nella Resistenza con un nome di uomo, un nome tedesco, un nome di poeta” : nascosta, era Rainer, per Rainer Maria Rilke. Ci è voluta la forza di convinzione di Raymond Aubrac perché lei accettasse di testimoniare sulla sua azione nella Resistenza – “Sono un antieroe, una persona completamente ordinaria. Non c’è niente di straordinario in quello che ho fatto, proprio niente”, ha insistito nel documentario a lei dedicato nel 2020 da Jorge Amat, Le sette vite di Madeleine Riffaud.
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